Corpo, di Silvio Valpreda

Il catalogo di Eris edizioni (www.erisedizioni.org) si amplia per accogliere una nuova collana dedicata al fantastico italiano, dall’evocativo nome di “I Tardigradi”. Come ben spiegato sul sito dell’editore, questa neonata creatura, si prefigge lo scopo di “ridare spazio e piena dignità nel panorama editoriale al racconto lungo, con libri dal formato piccolo e dal prezzo contenuto, per una lettura agile e accessibile a tutt*.”

Le prime tre meravigliose creature di questa recente wunderkammer targata Eris sono: “Corpo” di Silvio Valpreda, “Creature dell’assenza” di Giorgia Bernareggi e Sephira Riva e “Un allegro nichilismo cosmico” di Alessandro Sesto.

Oggi vi parlerò del primo esemplare finito tra le mie mani, ovvero “Corpo”.

Il racconto si apre in medias res, catapultando il lettore direttamente nella quotidianità dei personaggi, senza intorpidirlo con stucchevoli preamboli o superflue informazioni. E qui, grazie alla straordinaria abilità del narratore, che capiamo di cosa tratterà tutto il racconto: morte, amore e, appunto, il corpo umano e le implicazioni della sua assenza.

Quella del rapporto tra l’essere umano e il proprio corpo è una tematica assai antica, sviscerata e analizzata nei secoli da innumerevoli dottrine, religioni e opere di finzione. A seconda del punto di vista da cui lo si osserva, il corpo passa dall’essere centro di irradiazione simbolica (come avviene nelle società arcaiche, dove rappresentava l’unita anatomica isolabile dalle altre e per la quale il mondo si modella in base alle sue possibilità) al rappresentare il negativo di ogni valore come avviene nelle nostre società moderne, governate da codici e iscrizioni.

Il corpo del primitivo, non ancora scisso nei poli contrapposti di Natura e Cultura, affronta gli eventi naturali come nascite, morti, cataclismi tessendo un complicato sistema di simboli e riti magici in grado di riportare l’ordine in un sistema temporaneamente minacciato dal disordine.

Si crea così un linguaggio corporeo che vede l’utilizzazione di sé stesso come sistema di segni per produrre significati; quasi una disincarnazione necessaria per divenire materiale atto a significare.

Quando questo sistema reversibile di scambi viene a cessare, le comunità primitive declinano e subentrano le società attuali, dove più nulla si scambia ma tutto si accumula per creare valore.

L’Universo si scinde tra cielo e terra, tra spirito e materia, anima e corpo, ponendo l’accezione negativa tutta addosso al secondo termine di paragone.

E proprio in questa dicotomica frattura che si inserisce il racconto di Silvio Valpreda, inscenando una costante interrogazione sui significati più profondi del rapporto tra mente e corpo. Durante la lettura di “Corpo” sembra di assistere a uno dei migliori episodi della celebre serie tv “Black Mirror”, dove un futuro distopico (ma vicinissimo al nostro presente) ci pone di fronte a dilemmi esistenziali che probabilmente saranno cruciali negli anni a venire.

Il nostro corpo è soltanto un fardello terreno, infestato dalle passioni carnali oppure è il custode di tutte le sensazioni che da esso passano prima di sedimentarsi nel cervello fino a diventare memoria?

La scrittura asciutta e priva di fronzoli di Valpreda è quasi uno strumento chirurgico col quale analizzare gli eventi che porteranno Alessandra a scivolare lentamente nell’ossessione, alla costante ricerca di una prova in grado di confutare la propria esistenza in vita; ragione e passione in costante conflitto.

Nel giro di poche pagine, l’autore riesce quindi a trascinarci in una spirale discendente alimentata da dubbi esistenziali molto profondi. Il rapporto privato col proprio corpo ha sempre molteplici sfaccettature, in un climax che può passare dall’estasi totale fino alla vergogna più profonda.

Come reagiremmo se tutto ciò venisse a mancare, rimpiazzato da un simulacro sintetico?

L’assenza regna sovrana tra le righe di questo meraviglioso racconto e si muove in modo concentrico e subdolo attorno all’esistenza di Alessandra, come un letale predatore in attesa del momento opportuno per ingoiarne l’intera esistenza.

La colonna sonora perfetta per questa lettura, a mio avviso, è The Downward Spiral dei Nine Inch Nails, in particolare la canzone Hurt :

I hurt myself today
To see if I still feel
I focus on the pain
The only thing that’s real

The needle tears a hole
The old familiar sting
Try to kill it all away
But I remember everything

What have I become?
My sweetest friend
Everyone I know goes away
In the end

And you could have it all
My empire of dirt
I will let you down
I will make you hurt

I wear this crown of thorns
Upon my liar’s chair
Full of broken thoughts
I cannot repair

Beneath the stains of time
The feelings disappear
You are someone else
I’m still right here

What have I become?
My sweetest friend
Everyone I know goes away
In the end

And you could have it all
My empire of dirt
I will let you down
I will make you hurt

If I could start again
A million miles away
I would keep myself
I would find a way

Mi ricorderò di te, di Mary South

Ogni volta che l’ufficio stampa di Pidgin mi scrive per propormi in lettura una delle sue produzioni mi si riempie il cuore di gioia. E non esagero. Ogni volta che apro uno di quei mondi di carta messi in giro da una delle realtà editoriali più interessanti della nostra nazione non vengo deluso. È successo con Il libro di X di Sarah Rose Etter ed è successo anche questa volta con l’antologia di racconti Mi ricorderò di te di Mary South. Pidgin edizioni infatti, oltre a pubblicare libri sopra le righe, estremi, di autori sia italiani che stranieri – e questo già dovrebbe essere sufficiente per il lettore novocarnista – ha anche un’atteggiamento ben preciso all’interno del panorama editoriale, che come molti sappiamo, è spesso inquinato da fattori che con la letteratura c’entrano poco e niente (e non sto parlando di qualità, ma di politica vera e propria, anche se viene fatta tra le bancarelle di una fiera realmente indipendente e non in Parlamento).

D’accordo, basta con i pistolotti e parliamo del libro. L’autrice, statunitense, ha pubblicato su diverse riviste americane e con questa antologia si è imposta alla critica oltreoceano che conta. L’antologia contiene dieci racconti che spaziano dal what if di matrice blackmirroriana a visioni di ballardiana memoria annaffiate con l’acqua (acida) della nostra società post-capitalistica. La tecnologia, internet, i rapporti sociali disgregati, la vecchiaia, l’arte, il disagio interiore, le relazioni a pezzi, sono solo alcuni dei temi affrontati e che i personaggi si trovano a vivere all’interno di narrazioni dallo stile ironico e sottile, che però allo stesso tempo non risulta mai stucchevole o troppo ammiccante.

In Keith Prime si parla di cloni, come dicevo, alla Black Mirror, con tanto di sospensione dell’incredulità e domande irrisolte sull’umano. Ne L’età dell’amore, racconto dalle tinte meno fantascientifiche, un operatore di una RSA inizia a registrare le chiamate che gli ospiti della struttura fanno alla linea erotica, non sapendo che quello che era un scherzo arriverà a compromettere la sua relazione. I successivi Domande frequenti sulla tua craniotomia e Architettura per mostri, credo i miei preferiti della raccolta, riprendono alcuni temi cari a certa letteratura post-moderna, giocando con termini e questioni mediche (il primo) e artistiche (il secondo), con un’apparente freddezza che non riesce a non invadere prepotentemente la dimensione individuale. Anche Per salvare l’Universo… e L’ostello promesso affondano nel metagenere del post-moderno, il primo giocando e portando alle estreme conseguenze il concetto di fandom, il secondo con le sue situazioni e relazioni grottesche. Mi ricorderò di te e Campeggio Giabervocco… affrontano in maniera più diretta la questione di quanto Internet consumi dall’interno le nostre relazioni ma allo stesso tempo fornisca nuove opportunità di connessione; oscilliamo quindi dalla disgegazione personale dovuta ai social network alla “cura” della malattia da trolling. Chiudono la raccolta una sorta di weird story da paradiso gentrificato (L’agente immobiliare dei dannati) e un romantico quanto sconvolgente dramma familiare (Non è Setsuko).

Ci tengo poi a fare i complimenti al lavoro certosino dell’editore, Stefano Pirone, che ha curato sia la traduzione, che l’impaginazione, confezionando un vero e proprio gioiello della parola.

Un capolavoro? Vi risponderò con una storia. Qualche mese fa ho partecipato a un incontro sull’editoria e gli argomenti erano: quanti libri di producono, quanti se ne vendono, i problemi della distribuzione in Italia, ecc. Il relatore ci ha aperto gli occhi su quanto siano diffusi i pregiudizi su quanto si legge e quanto si vende, ma al di là dei numeri, una frase mi ha colpito: al giorno d’oggi tutti parlano di capolavori, al fine di pubblicizzare il proprio prodotto, ma questo modo di fare ha avuto, nel tempo, l’effetto di anestetizzare il pubblico con milioni di titoli “capolavoro” che vengono sfornati ogni minuto, e per questo lo stesso termine ha perso di significato e non indica più, o almeno non sempre, quello che letteralmente significa, ovvero un libro che dovrebbe finire sui libri di letteratura tra qualche decennio. Ed ecco la mia riposta alla domanda che facevo. Mi ricorderò di te mi ha colpito molto, molto di più di tante altre cose che ho letto quest’anno, delle nuove proposte, italiane e straniere, è sicuramente la migliore in assoluto, e che Mary South abbia la stoffa per scrivere un capolavoro, questo sì, posso affermarlo senza dubbio, perché questa antologia, se non in cima alla piramide della perfezione letteraria (almeno secondo i miei gusti) allora si trova appena appena sotto.

Fanta-Scienza 2, a cura di Marco Passarello

Quando Marco Passarello mi ha proposto di recensire Fanta-Scienza 2, secondo volume antologico da lui curato e edito da Delos Digital, non ho avuto un momento di esitazione. Ho parlato del suo primo esperimento anni fa, con entusiasmo e curiosità, reputando il risultato ben curato e davvero interessante non solo dal punto di vista narrativo, ma anche e soprattutto per la volontà di connessione tra il genere fantastico e l’attuale ricerca in campo scientifico e devo dire che il raddoppio non è stato da meno, anzi, a mio parere possiede una marcia in più.

Marco Passarello, per chi non lo conoscesse, vive e lavora a Bolzano come redattore della TGR RAI. È ingegnere aeronautico ed è stato redattore delle riviste di informatica Computer Idea e ComputerBild. Ha collaborato col settimanale scientifico Nòva 24 de Il Sole – 24 Ore e con la rivista Urania Mondadori. Ha curato una rubrica di fantascienza per il mensile XL, e si è occupato di musica e libri per Rolling Stone e Repubblica Sera. Insieme alla moglie Silvia Castoldi ha tradotto diversi romanzi, tra cui la serie Virga di Karl Schroeder per i tipi di Zona 42. Ha pubblicato numerosi racconti di fantascienza su riviste, fanzine e antologie.

La formula dell’antologia è la stessa: Marco ha intervistato diversi studiosi dell’Istituto Italiano di Tecnologia a proposito della loro ricerca, cercando di far emergere le questioni più spinose e speculative; poi ha girato le singole interviste ad altrettanti autori di fantascienza italiani, perché producessero un racconto ispirato ai loro percorsi di studio. Unica eccezione: in questo volume appare un nome straniero, nume tutelare del cyberpunk nonché ispiratore di visioni psichedeliche sempre vivaci: Bruce Sterling. Lo scrittore americano pare essere stato proprio la scintilla che ha convinto il curatore a lanciarsi nel progetto del secondo volume. Infatti nell’introduzione del libro, parlando di ciò che lo ha spinto a creare questo “sequel”, Marco confessa: “Credo che il motivo principale sia un piccolo episodio che dimenticai di citare nell’introduzione del libro precedente. Avevo raccontato che il germe dell’idea mi venne scrivendo per Repubblica Sera un articolo su Hyeroglyph, antologia curata da Neal Stephenson e basata su un’analoga collaborazione tra scienziati e scrittori. Avevo raccolto le opinioni in merito da parte di vari autori fantascientifici italiani e stranieri. Tra le più positive c’era quella di Bruce Sterling, che aveva firmato uno dei racconti inclusi in Hyeroglyph, e che mi disse: ‘Spero che altre istituzioni vedano la saggezza di questo sforzo e lo seguano. Se ci provasse un’università italiana, sarei il primo a festeggiare’. Fu proprio questa sua risposta che mi stimolò a chiedermi: chi in Italia potrebbe appoggiare la realizzazione di un’idea simile? Inizialmente mi dissi: nessuno! Ma qualche tempo dopo entrai in contatto con l’Istituto Italiano di Tecnologia, dove invece trovai un terreno fertilissimo per la realizzazione di Fanta-Scienza. Ma non è finita: dopo la pubblicazione del libro, mi venne l’idea di inviarne una copia a Sterling per ringraziarlo dell’ispirazione che mi aveva dato. Con mia sorpresa, lui ne fu davvero entusiasta e, quando poco tempo dopo lo incontrai di persona in occasione di Lucca Comics, mi disse: ‘Se ne farai un secondo volume, voglio esserci!’”

Ma al di là della presenza di un gigante come Sterling, ho avuto l’impressione che l’intero volume risulti stilisticamente e contenutisticamente più curato rispetto al precedente. E non parlo necessariamente della qualità dei racconti, che comunque a mio parere è molto alta, quanto della capacità di aver trovato temi talmente peculiari, specialistici ma allo stesso tempo estremamente multidisciplinari, che inevitabilmente, come origine delle storie, ne hanno a cascata migliorato l’originalità. E di certo, il fatto di essere una seconda esperienza avrà permesso al curatore di seguire una strada già in qualche modo tracciata.

Emerge come, anche in campi come quello della robotica o dello sviluppo dell’intelligenza artificiale (solo per citarne un paio tra i maggiormente classici per la fantascienza), i progressi scientifici reali ottenuti in questi anni abbiano portato a una maturità del paradigma davvero futuribile. Basti pensare alla consapevolezza che emerge dalle parole dei ricercatori riguardo al concetto di cooperazione uomo-macchina, o anche semplicemente al grado di raffinatezza sensoriale necessaria per ottenere un determinato risultato, una raffinatezza che permette non solo di interagire e costruire fuori dall’umano ma anche di conoscere meglio l’umano stesso, di dare meno per scontate le nostre capacità innate. Questa spinta nasce, sostiene il curatore, dall’“intersezione tra tecnologia e scienze umane” che permette di allargare l’orizzonte della scienza cosiddetta “dura” reinserendola in un ambiente allargato che coinvolge l’intera sfera delle nostre esistenze.

Non farò l’elenco degli autori né degli scienziati che hanno collaborato (potete trovare facilmente l’indice online), né decreterò un mio podio personale, sarebbe antipatico, oltreché inutile per l’obiettivo dell’antologia e di questa recensione. Come in tutti i volumi collettanei ci sono racconti (ma anche articoli, perché no) che vi piaceranno di più e che vi piaceranno di meno, ma quello che qui troverete è un arricchimento dei temi della speculative fiction che abbiano delle radici nell’attuale sviluppo tecnologico, in modo da avere una sorta di testo bicefalo dove l’avanguardia scientifica è riletta e reinterpretata, in tempo reale, da professionisti della narrazione fantastica, che ne faranno emergere, a modo loro, visioni epifaniche e oscure criticità.

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Divorati dall'”altro” cannibale, di Eleonora D’Agostino
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Ballard e il rifiuto dell’utopia, di Stefano Spataro
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Racconti:
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