Acqua nera

La tua barca dondola dolcemente, il mare è calmo e silenzioso. L’acqua nera bagna la chiglia di legno, la riempie di macchie che mai potranno essere lavate e la impregna di un fetore che la accompagnerà per sempre.
C’è un’isola vicino. Le palme sono verdi ma la sabbia è sporca e non si vedono animali, solo centinaia di lische di pesce, scheletri ammassati sulla riva, fossili di un genocidio che non si è mai arrestato.
Non vive niente su quell’isola, non vive niente in quell’acqua. Il nero ha ucciso tutto tempo fa e non se n’è più andato, ha continuato a espandersi senza mai fermarsi.
L’aria è immobile e il fetore è tanto forte da coprire il salmastro del mare. Ma tu, chiuso nel tuo cappotto blu, caldo e liso, non riesci ad andar via.
«La affitta?»
.
«La affitta? La barca dico, la affitta?»
I tuoi occhi guardano il mare, ma la tua mente vede solo Jeremy fermo, in piedi, sulla stretta passerella di legno di quel piccolo molo dimenticato da Dio.
«Sarà un viaggio veloce.»
.
«Non ho neanche ospiti! Sono solo io»
Ti tremano le mani mentre raggiungi a stento il pacchetto di sigarette dentro la tasca della tua giacca. Ti continuano a tremare anche quando stringi quella carta gialla e sporcata dal mare e te la porti alla bocca.
Una sigaretta ogni ragazzo finché il pacchetto non sarà finito. Questo era il patto. E mentre aspiri quel maledetto tabacco e guardi il mare scuro ormai calmo, sai che dovresti sentirti libero. Il pacchetto è vuoto e questa è stata l’ultima volta.
«Per favore. La prego. Devo vedere l’acqua nera.»
La sua voce giovane, la sua pelle chiara. Lo vedi lì, immobile che ti guarda. E la sigaretta ti cade dalle labbra, le mani affondano nei capelli, la gioia che pensavi avresti provato non trova posto nel tuo cuore.
I suoi occhi che ti fissano mentre scompaiono nella melma, rassegnati, senza neanche un’ombra di paura.
Ti strappi i capelli a ciocche. La testa ti sta scoppiando e non riesci a smettere di pensare, non riesci a smuovere il pensiero da quel ricordo. Dannato ragazzino, dannata la sua voce squillante! C’erano altre dieci barche e la tua era l’ultima. Perché… è dovuto venire da te? Perché sei tu a doverli portare?
L’acqua nera è una lastra opaca e quasi immobile. Le onde del mare la scuotono leggermente ma senza mai increspare la superficie. Gocce di sudore ti scendono dai capelli e il tuo corpo trema, i tuoi occhi bruciano perché non riesci a sbattere le palpebre, non riesci a smettere di guardare il mare. Il suo fetore ti fa venire da vomitare, eppure andartene è quasi impossibile. Cosa si prova a nuotarci dentro? Cosa si prova ad annegarci?
«È lontano da qui? È lontana l’acqua nera?» ti aveva chiesto Jeremy mentre tu lo aiutavi, tremante, a salire sulla barca. E il tuo occhio freddo aveva incontrato i suoi caldi e vivi e vitali e giovani e… ti eri chiesto perché, come fosse possibile che lui, e tutti gli altri come lui venissero da te a cercare la stessa cosa. Ogni volta a cercare la stessa cosa.
Mentre tu sei dietro a questi pensieri, l’isola davanti a te inizia a tremare come scossa da un terremoto e una di quelle splendide palme, la più alta di tutte, crolla al suolo con un immenso fragore.
In quel momento noti come tutte le piante e la vegetazione che ti erano sempre sembrate tanto verdi… in realtà siano spente, cupe, quasi grigie. E diventino ogni minuto più simili a quel mare velenoso.
«Vengono qui in molti?»
Ti allontani dal parapetto e torni dentro la cabina. Il grosso pendolo di legno, marcio e rotto da tempo, segna le 16:03. Ma la tua barca è cupa. Sette lanterne spente sono appese alle pareti rotonde della cabina e davanti a te una lunga vetrata si affaccia sul mare.
Osservi le onde seduto su una sedia e vedi lontano, nel blu, dei delfini saltare.
“In troppi” gli rispondi ora nella tua testa.
Chiudi gli occhi, lentamente. Torni indietro al solito ricordo, vedi quel grosso ragno sul soffitto che ti osserva e ti scruta dall’alto. Lo vedi calarsi appeso a quel sottile filo di seta. Le sue zampe pelose si muovono come dita su un pianoforte e le sue chele si incontrano su una bocca umida e affamata.
È solo un ricordo, eppure la sensazione di quando ti cade sul volto, il suo calore, il suo peso, la sua peluria urticante… tutto è così vero che resti paralizzato.
Come su uno specchio, le sue zanne si riflettono sulla tua pupilla prima di pugnalarti. E senti ancora il dolore e le grida. E sei ancora convinto che il ragno volesse proprio quello, non volesse altro che farti urlare. Bramava la tua bocca spalancata, un antro caldo, umido. Perfetto per la nidiata.
La seta si abbatte sui tuoi denti e sulle gengive e scende fino in gola. Senti l’addome caldo del ragno sulla lingua, le zanne che sfiorano la tua pelle… uova partorite contro il palato.
E quando esce dalla sua nuova tana, sai che nessun muscolo potrà districare quella tela. Più conati si alzano dal tuo stomaco, più rischi di soffocare; più cerchi di schiudere le labbra, più ti accorgi che sono unite per sempre.
Sollevi la mano e la abbatti su di lui, lo schiacci, schizzando il suo sangue blu e il suo veleno sulla tua barca e sul tuo volto. E le piaghe che hai sulla pelle tornano a prudere, l’occhio sinistro a bruciare, mentre rivivi il momento in cui l’acido scava a fondo dentro il tuo bulbo oculare.
Il tuo occhio buono ora osserva il tuo riflesso e poi si fissa sul mare. Nel silenzio, senti ancora l’altra pupilla sfrigolare, quasi scoppiettare, e la tua carne marcire, mangiata dalla tossina.
Lontano, dove l’acqua è blu, il branco di delfini salta giocoso, increspando la superficie con eleganti disegni circolari e sottili spruzzi di spuma, che si trattiene sulle onde e scompare dopo pochi secondi in un pugno di bolle bianche.
«Grazie per avermi portato qui. Non sa… da quanto lo desideravo.»
Senza rendertene conto, sei crollato contro la vetrata, la fronte premuta contro quella lastra ghiacciata, la tua mano ruvida e callosa appoggiata a quel vetro rovinato dal sale e dal vento. Le ossa ti fanno male, ma le ferite del ragno hanno smesso di prudere. Quei solchi, quelle ulcere… ormai è come se avessero sempre abitato il tuo volto.
Puoi vedere i delfini cambiare direzione, nuotare curiosi verso la tua barca planando sulle onde, saltando come ballerine sopra il mare.
Pochi altri balzi e le loro lunghe ed eleganti code vengono catturate dall’acqua nera. Tu li osservi dall’alto, osservi i loro occhi così espressivi sepolti dal veleno, le loro bocche aprirsi verso il cielo come a chiederti aiuto e poi affondare nella melma. Le loro anime imprigionate nell’acqua nera.
Grosse bolle nere nascono sui loro sfiatatoi. Le bolle si ammassano l’una sopra l’altra come gemelli siamesi e scoppiano mentre gli animali tentano invano di respirare.
La tua barca senza nome galleggia quasi immobile. Con gli occhi chiusi, tu pensi al rumore del mare in bonaccia, di notte, ormeggiato davanti a un’isola silenziosa. Senti le onde infrangersi contro gli scogli, la lieve brezza che accarezza la tua pelle e ti fa correre brividi lungo la schiena. Sei stretto nel tuo vecchio cappotto e guardi l’isola e le sue piccole luci che sono vite che tremano riflesse sul mare.
Scoppia l’ultima bolla e torna il silenzio.
Nella tasca del tuo vecchio cappotto incontri il pacchetto di sigarette ormai vuoto. Lo accartocci, lo stritoli con rabbia e lo getti dal parapetto.
«Stiamo solo cercando un’alternativa.»
L’hai cercata anche tu. A lungo e senza successo.
Ma ora hai fatto ciò che dovevi. Il pacchetto di sigarette affonda nell’acqua e tu rimani a guardarlo finché non scompare per sempre.
Una tavola liscia e opaca, il mare digerisce silenzioso il suo ultimo pasto.

La tua testa sprofonda sotto l’acqua nera. La prima cosa che senti è il gelo, che ti pervade e toglie il respiro. L’atmosfera è colorata da una luce verde, ma solo vicino alla superficie. Sotto di te, il buio è totale.
Non senti niente, nemmeno i tuoi pensieri. Tutto è spento, tutto è sospeso, galleggia come se non esistesse. L’acqua è immobile e lo sei anche tu.
Dal nero, oltre il tiepido alone verde, sepolto in quel mare velenoso, qualcosa ti osserva.
Il tuo sguardo è fisso nell’abisso, lì dove le stalattiti di luce che fendono la superficie si spengono, lì dove le anime catturate si radunano.
Jeremy ti osserva da laggiù. Sommersi nel buio, lui e tutti gli altri nuotano verso di te.
Le loro mani ti raggiungono e ti avvolgono. Sospeso nel verde, un granello di polvere in mezzo al mare, lasci che ti portino a fondo senza reagire.

La tua cabina risuona dei rumori del porto. Il capitano Morales, della Jolly, grida contro un mozzo mentre i gabbiani stridono alti nel cielo.
I ragni camminano sul tuo cuscino. Si sono aperti un passaggio attraverso la tua guancia e strisciano veloci nella loro tana appena apri gli occhi.
Ma ad averti svegliato sono timidi passi sul pontile. Non sono di stivali o di vecchi anfibi da marinaio, ma di scarpe leggere, delicate. Si avvicinano, ti rimbombano nelle orecchie e tu sai che stanno venendo per te.
Che stupido che sei stato. Il legno scricchiola, cigola e tu… non hai scampo.
L’incubo non può finire, la maledizione non può essere spezzata. Non esiste libertà per chi si è venduto l’anima.
Le gambe ti portano sul ponte senza che tu glielo ordini. Ti appoggi al parapetto e abbassi lo sguardo.
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«La affitta? La barca dico, la affitta?»
Vent’anni o poco più, un sorriso sulle labbra e una vita intera davanti.
Stretto nel tuo cappotto, la fissi senza ancora riuscire ad aprir bocca.
«Per favore. La prego. Devo vedere l’acqua nera» grida con la sua voce squillante.
Gli altri marinai osservano la scena di soppiatto dalle loro barche. Alzano a malapena gli occhi da terra, intimoriti. Non hanno il coraggio di guardarti o di parlare.
Sanno che tu sei Caronte. Inferno e ritorno, tu traghetti le anime.
Mentre la fai salire a bordo per il suo ultimo viaggio, il tuo occhio buono è fisso su di lei.
Ti tende la mano, ma il tuo pugno non si muove dalla tasca del vecchio cappotto.
Come paralizzato, resta stretto attorno a un pacchetto di sigarette ancora da aprire.

2 risposte a “Acqua nera”

  1. Ho letto il racconto e l’ho trovato interessante .Mi ha ricordato il film di Tornatore “ Una pura formalità “

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