Mark Lanegan. SIng Backward and Weeps

Il 22 febbraio 2022 rimarrà impresso nella mia mente come uno dei più grandi giorni di merda della storia.
Questa schifosa palindromia numerica mi si è attaccata nel cervello – organo per me solitamente incapace di trattener sequenze anche basilari di cifre e numeri – come indelebile e funereo memento del giorno della morte di Mark Lanegan.
Sapevo dei suoi trascorsi poco piacevoli con il COVID-19, malattia che lo aveva ridotto fino al coma (eventi narrati nel libro Devil in a coma, inedito in Italia), ma di certo non potevo immaginare che la faccenda potesse prendere una piega così definitiva e drammatica.
Cazzo! Niente più concerti, niente più emozioni imprigionate in dischi meravigliosi, niente di niente.
Metto su Blues Funeral dato che siamo in tema, uno dei suoi album che più mi piace, mentre cerco di ripercorre nella mente ogni volta in cui la sua musica si è intrecciata con gli eventi della mia vita. Mi assale una gran tristezza, avvolta in una palla vischiosa di malessere che si abbarbica giù nell’esofago.
Questo sarà un articolo imbevuto di malinconia, portate pazienza.

Lanegan, dopo una vita trascorsa più da superstite che da rockstar, alla fine se n’è andato da questo mondo come da sua ben consolidata tradizione: sgattaiolando via dalla porta di servizio, evitando di dare spiegazioni e senza inutili clamori. La triste notizia, resa pubblica dalla moglie con un tweet dall’account ufficiale dell’artista, racchiude in poche righe tutta la semplicità che lo contraddistingueva.

Our beloved friend Mark Lanegan passed away this morning at his home in Killarney, Ireland.  A beloved singer, songwriter, author and musician he was 57 and is survived by his wife Shelley.  No other information is available at this time. We ask Please respect the family privacy
8:41 PM · 22 feb 2022

Le sfaccettature di questo suo scostante ma sincero modo di essere, aveva provato a raccontarle poco tempo fa, nel suo primo libro autobiografico intitolato, in maniera molto melanconica e in linea col tono della mia scrittura, Sing backwards and Weep. Il volume è uscito in America nell’aprile 2020 per Achette Books, poi tradotto e pubblicato in Italia da Officina di Hank nel 2021 a cura di Lucia Morciano.

Un libro fondamentale per chiunque abbia seguito e amato il cantautore di Ellensburg, esordiente come come front-man degli Screaming Trees, per poi proseguire un percorso artistico personalissimo e pieno di collaborazioni, durato quasi trent’anni.
Nelle parole di questo libro ho ritrovato la voce ruvida e spontanea di Lanegan. Una autobiografia sincera, senza edulcorazioni o omissioni di colpe, soprattutto quando in difetto veniva a trovarsi proprio lui.
Le oltre 350 pagine scorrono via che è una meraviglia, tra divertenti aneddoti di vita quotidiana a vere e proprie ordalie tossiche alla ricerca di qualsiasi tipo di droga, con una mortale vocazione per l’eroina.
E proprio le pagine dedicate all’eroina sono quelle più dure. Una fratellanza oscura che si è divorata tutto quello che di buono c’era attorno a lui. Il ricordo di Kurt Cobain prima e di Laney Staley poi, rendono bene l’idea della sofferenza di chi vede andarsene i propri amici e, nonostante tutto, continuare a percorrere il sentiero tortuoso e oscuro dell’autodistruzione senza porsi valide alternative.
L’eroina, mortifera compagna di queste anime inquiete, si annidò nelle loro vene come un lugubre parassita impossibile da sfamare e, stritolata nelle sue fauci seducenti, cadde una intera generazione di musicisti fra i più talentuosi della scena post-punk americana.

Il termine grunge, o Seattle Sound, nacque proprio per etichettare un’intero movimento, assai più variegato e frastagliato di quanto si possa credere.
Nuovi gruppi musicali formati da ragazzi giovanissimi e di varia estrazione sociale, provenienti da dei piccoli buchi del culo del mondo sparsi per l’America, si ritrovano – talvolta loro malgrado – catapultati sui più grandi palchi mondiali, cavalcando l’onda commerciale della MTV generation: una mamma sorniona e un po’ puttana che prima li foraggia col latte acido delle sue tette miliardarie e poi li scarica fottendosene beatamente.
In quegli anni, la diffusione esplosiva della rete televisiva MTV, ebbe un impatto immediato e di portata globale sulla musica pop in generale e, per esteso, anche sulla società, sulla cultura e sullo stile visivo dei giovani di quell’epoca.

I membri di questa nuova tribù catodica venivano irretiti in una continua orgia di contenuti visivi, rito unificante che andava ridefinendo il nuovo modo di fruizione della musica.
Il videoclip si impone come nuovo idolo da venerare, comodamente seduti sul divano di casa.
Il successo commerciale delle band è immediato e l’uso del termine grunge si amplia in maniera generalista, inglobando nella sua descrizione anche l’abbigliamento e lo stile: ovunque è un tripudio camicie di flanella da boscaiolo, t-shirt scolorite e slabbrate, jeans strappati, capelli lunghi e anfibi consumati.
Gli attori di questa moderna parata mediatica, sfilano coi loro vestiti sdruciti sugli schermi luccicanti dei televisori accesi a tutte le ore: Nirvana, Soundgarden, Screaming Trees, Smashing Pumpkins, Pearl Jam – solo per ricordare i più noti – mordono la velenosa mela della globalizzazione, diventando famosi in tutto il pianeta.
Rabbia, inadeguatezza, malessere sociale e psicologico, malinconia, amori impossibili e tanta droga sono gli argomenti che rimpolpano in un primo momento i testi di questo nuovo genere. Pearl Jam e Nirvana su tutti, trascinano questo gruppo eterogeneo fino alle vette più alte del successo, vendendo milioni di copie in tutto il globo. Il grunge deborda dai propri confini e infesta come uno sciame di locuste, tutti i tipi di programmi televisivi, dai talkshow live alle rubriche pop per teenagers.
Poi il 5 aprile del 1994 qualcosa cambia in maniera definitiva: il corpo di Kurt Cobain viene ritrovato in casa privo vita, pochi giorni dopo un ricovero per overdose da Roypnol.
Dopo quello sciagurato colpo di fucile in testa, le band iniziano a sciogliersi.
Lanegan attraversa tutto questo subbuglio mediatico interessandosi soltanto alla droga e alla musica.
La prima, sarà una maledizione che lo porterà ai limiti della sopravvivenza, privo persino di un tetto sotto al quale dormire, mentre la seconda continuerà a essere l’ancora di salvezza alla quale aggrapparsi per risalire dal più profondo degli abissi.
Da questi anni difficili e irripetibili emergono in pochi, lasciandosi dietro una scia di amici morti, qualche libro e tanti bei dischi.

Un mio ricordo privato troneggia su tutti gli altri, personalissimo e quasi confortante: era il 20 novembre 2002, il concerto dei Queens of the Stone Age al Vox di Nonantola era finito da circa un’ora e io, galvanizzato, me ne stavo fuori dal locale a bere birra e fumare con i miei amici. Parlavamo del concerto appena finito, giusto per dilatare ancora un po’ il tempo di quella fantastica esperienza, prima di rientrare nella camera d’albergo a pochi passi di distanza.
Tutto il rumoroso e luccicante baraccone dei QOTSA era già partito da tempo sopra un tour bus-discoteca; se ne erano già andati via pure i tecnici del service audio.
All’improvviso, il nostro terzetto fancazzista viene illuminato dai fari di una Clio nera tutta scassata che parcheggia a qualche metro di distanza da noi. Ne esce fuori un tizio alto e allampanato, con un berretto nero di lana ficcato in capo.
Con passo pesante, lo sconosciuto si avvicina a noi e con voce roca e un po’ stanca ci apostrofa: “Sorry guys, do you have a lighter, please?”
Le mani corrono istintivamente all’accendino, poi alle sigarette per paura di rovinare l’attimo e passare da taccagni
Con le sigarette ficcate in bocca, fumiamo in silenzio, condividendo l’attimo in mezzo al parcheggio deserto del locale.
Cazzo! Stavo davvero fumando con Mark Lanegan in persona, discorrendo di musica come se fosse il quarto elemento mancante al gruppo!
Alla fine della cicca, così come se ne era arrivato, se ne andò via sulla sua Clio scassata presa chissà dove. Prima di salire in macchina, si voltò verso di noi per ringraziarci della sigaretta e per essere andati al suo concerto. In patria non lo consideravano gran che, ci disse prima di rimontare in macchina, quasi sicuramente in cerca di qualche spacciatore ancora in attività.
Questo era Mark Lanegan. Un fottuto figlio di puttana con un talento smisurato.

Il libro è acquistabile dal sito di Officina di Hank  al prezzo di 20 €, ristampato in questi giorni con la copertina originale dell’edizione americana.

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