Intervista a Drone San

Drone San. Credit: shooting di Alessandro Tuveri e post-produzione di Francesco Liori

I Drone San sono un progetto costituito da Andrea Sanna (piano, tastiere, synth) e il Nicola Pedroni (batteria, percussioni, synth), entrambi autori di formazione jazzistica. Il 14 Gennaio di quest’anno (2022) pubblicano il loro esordio omonimo per la Horribly Loud Records, lavoro dal tratto jazz e futuristico allo stesso tempo, sia a livello di trame sonore progressive, complesse e sintetiche, che per l’immaginario sci-fi che vuole evocare attraverso la grafica del supporto fisico; inoltre dietro all’ascolto del lavoro si cela la narrazione senza parole di un racconto, rintracciabile nel silent book dell’artista grafica Yoshi Mari, autrice anche dell’artwork del disco.

Focalizzandoci sulla trama attraverso la quale si susseguono le immagini della graphic novel, parla Yoshi stessa, dandoci maggiori delucidazioni sulle sue tavole:

“Il tema fantascientifico è stato sviluppato insieme al duo già nelle prime fasi di creazione musicale. Le 14 illustrazioni  – realizzate a tempera e in digitale – sono ispirate alle atmosfere sospese e aliene dell’album. Queste raccontano di una missione spaziale che parte da un pianeta in decadenza alla ricerca di una nuova speranza o fonte di rinascita, a bordo di un’astronave-città-tentacolare. Questa approda su un pianeta in cui la natura prospera in perfetta armonia con i suoi abitanti. I visitatori vengono condotti presso il “tempio” di questa saggia civiltà aliena, tempio che risulta essere una foresta, e ricevono in dono dei semi…

già durante il viaggio di ritorno, l’astronave-città si popola di nuova vita e torna sul pianeta portando un messaggio di speranza.”

Disegno di Yoshi Mari per l’artwork e la graphic novel di Drone San

Per quanto detto riguardo la scrittura del disco, esso risulta molto complesso anche per i suoi frequenti cambi di tempo; un attitudine musicalmente massimalista resa possibile dal notevole background dei due artisti di ricerca sonora – Nicola ha studiato in parte all’estero (Cuba, Milano, Torino, Bologna, Roma) e Andrea ha una formazione come pianista jazz al Conservatorio di Cagliari. Detroit’s Son ha leggeri cambi di tempo in una prima parte, dove un semplice 4/4 si alterna con un 3/4; di seguito in una parte successiva, in cui si raggiunge un climax sonoro il tempo si complica con ripetizioni asimmetriche e qualche aggiunta di una nuova metrica: 

4/4 + ¾ + 4/4 + ¾ + ¾ + ¾ + 4/4 + 5/4 + ¾.

In più battuta per battuta pattern ritmici complicano lo schema del pezzo in maniera più lateralmente barocca a livello cromatico.

Osservando la variazione delle metriche nel tempo di Waltzer Matthau, che è la seguente:

3/4 + ¾ + 2/4 + 4/4 + 5/4,

si ha quasi la sensazione di un fluire della musica dilatato nel suo corso, in cui in più punti rarefatti o meno la musica si sospende, e i beat spesso glitchati e dal suono acido assumono una forma ulteriormente aliena, richiamando per l’appunto forme di vita oscure e remote contemplate dall’estetica che il duo vuole richiamare.

Ornamentalities segue un’altra struttura non-eucldea, dominata dalla seguente serie di metriche che si ripete in più parti:

 4/4 + 5/4 + 4/4 + 2/4.

Qui il tempo si allunga e si spezza, compensandosi a più riprese, anche se qualche valore viene disperso; in questo modo viene incentivata l’asimmetria del pezzo, associata ad una voluminosità fisica. Inoltre il tutto viene incentivato dal suono lisergico e maestoso che non a caso si avvia ad una quasi definitiva conclusione dell’album.

Drone San, album massimalista per la sua dinamicità compositiva fatta di forme fluide e sempre diverse, vuole essere un’offerta nuova, innovativa anche in senso progressista, attingendo dall’universo H.P. Lovecraft attraverso strutture matematiche come asimmetrie nel tempo – come abbiamo osservato – o superfici non orientabili come il nastro di Möbius, filo narrante ciclico della storia che il duo ha voluto raccontare attraverso la loro musica e i disegni dal tratto onirico e etereo di Yoshi Meri. 

Per maggiori curiosità e approfondimenti sui Drone San e il loro esordio riportiamo la nostra conversazione con il duo.


Raccontateci come nasce e si sviluppa il percorso Drone San fino alla pubblicazione dell’album omonimo. Come nasce il vostro sound ben strutturato, fatto di vibrazioni complesse che attinge al progressive, alla library music e al futurismo krautrock?

Drone San: “Nel 2022 ci siamo trovati a suonare insieme in un jazz club e abbiamo subito avuto la sensazione di una forte direzione comune.  Abbiamo quindi  iniziato a scambiarci frammenti di brani o suggestioni sonore, giusto per farci un’idea di chi fossimo musicalmente. I materiali prodotti in questa prima fase – molto, molto diversi da quelli definitivi – ci hanno fatto capire che il progetto meritava di essere sviluppato e di diventare, prima di tutto, un disco. Il nostro sound è frutto di un processo molto naturale e spontaneo: dai primi ascolti reciproci alle stesure dei brani siamo stati facilitati da un’estetica abbastanza omogenea, pur arrivando da percorsi musicali differenti. Ci siamo trovati, insomma.”

Drone San. Credit: Alessandro Tuveri

Parlando del lavoro, il suono insegue una poetica urbana e cosmica allo stesso tempo, insieme ad armonie acide legate più propriamente all’elettronica. Se Drone è un preludio sospeso, oscuro e più periodico, Snob Pineapple ha una tonalità vellutata e ritmicamente irregolare, facendo emergere un immaginario distopico e popular allo stesso tempo; per quanto concerne Detroit’s Son, il suono è più minimale e armonicamente notturno ma con la dovuta energia, mentre in Baking Bread l’atmosfera è più astratta e permeata da una luce aliena per via della musica obliqua e dal ritmo ancora una volta artefatto. Volevo chiedervi, come nasce l’idea di combinare un suono terrestre più lucente accostato ad una cosmicità recondita?

Drone San: “Siamo entrambi appassionati sia di cinema che di letteratura fantascientifica e sicuramente questo ha influenzato molto i brani del disco. Allo stesso tempo, benché a volte vorremmo essere delle entità “aliene”, siamo dei normali terrestri che ogni giorno si scontrano con le inevitabili contraddizioni della nostra società, quindi probabilmente le composizioni hanno fatto trapelare questa nostra condizione.”

Si incontra nella seconda parte del disco un suono più caldo e meno familiare. Waltzer Matthau, strutturata in diverse istanze, è il pezzo più vivo del disco, adrenalinico e dal suono più propriamente progressivo, fatto di diverse consistenze sonore e pattern ritmici elastici. In Ornamentalities diventa protagonista un’astrazione questa volta più rarefatta nel ritmo e nella melodia, arrivando fino a San, conclusione enigmatica del disco e outlier che apre a nuovi scenari immaginifici. Come avviene in voi questa creatività nel creare suoni ed evocare idee poco conformi con la vostra stessa poetica più caratteristica in queste ultime tracce?

Drone San: “Probabilmente ciò deriva dal fatto che, nei nostri ascolti possiamo passare, senza soluzione di continuità, da Aphex Twin a Coltrane, virando subito dopo sui Carcass. Questa nostra eterogeneità negli ascolti sicuramente porta a diversificare le composizioni che poi vengono pur sempre filtrate dalle nostre personalità e fa scaturire, inevitabilmente, una nostra poetica.”

Il sound di Drone San naviga tra più mondi, ma è anche un’occasione di manifestare un suono non solo internazionale, con un retaggio nel prog italiano, nella library e nella soundtrack. Un immaginario sonoro che potrebbe fare da sfondo ad un film di genere (in particolar modo fantascientifici) degli anni ’70/’80, e che è nel segno di un binomio umano/non-umano, in cui il primo guarda ad una parte di un fervido passato, e la seconda è rivolta al futuro. Vi chiedo quali sono state le effettive influenze o punti di riferimento tra suoni, film o altro.

Andrea Sanna: “Sono cresciuto ascoltando i vinili della collezione di mio padre: Pink Floyd, Gentle Giant, Area, ma anche molto blues e hard rock e successivamente mi sono appassionato al Jazz e alla musica elettronica. Tra i miei film preferiti ci sono Alien, 2001 Odissea nello Spazio ma anche Ritorno al Futuro. Questi artisti e titoli sono sicuramente parte della mia formazione e quindi, di conseguenza e inevitabilmente, anche delle composizioni del disco.”

Nicola Pedroni: “Sono certo che film che ho visto superino di gran lunga i (parecchi) dischi che ho ascoltato dall’inizio alla fine. Sono sempre stato appassionato di cinema, ma non per forza d’autore, guardo tutto ma non mi piace tutto. Lavorando, soprattutto in teatro ma anche con illustratori, videomaker, danzatori, performer e artisti visivi in generale, come compositore/performer di colonne sonore direi che sì, una parte importante della mia vita ha tutt’ora a che fare con il rapporto tra suono e immagine/gesto/segno e ciò, dato che anche Andrea è un cinefilo abbastanza spinto, era inevitabile che queste influenze venissero fuori.”

Parliamo del progetto relativo al silent book realizzato dall’artista grafica Yoshi Mari. Il racconto, tra il tema cosmico e in parte quello ecologico, gioca con il dualismo utopico/distopico, evocato in un’unica istanza attraverso la sua struttura a nastro di Moebius, quasi in stile “viciano”. Come nasce il progetto del libro e i temi che lo accompagnano?

Nicola Pedroni: “Questa è semplice: un giorno, mentre buttavamo giù le basi di Drone San, ho visto questa illustrazione di Yoshi: 

Tavola di Yoshi Mari per la graphic novel di Drone San

e immediatamente ho telefonato ad Andrea – sì, ancora usiamo il telefono – dicendogli – guarda un po’ l’illustrazione che ti ho mandato via mail e dimmi se quella cosa non è Drone San! -. Il fatto che siamo qui a parlarne ti farà intuire com’è proseguita la telefonata.”

In conclusione, quali saranno le prossime novità da parte dei Drone San, a livello di scrittura, pubblicazione e attività dal vivo, oltre l’uscita fisica del vostro disco omonimo e per l’appunto quella del silent book?

Drone San: “Abbiamo un hard disk pieno di nuove idee e brani ma non stiamo ancora lavorando seriamente al secondo disco: è stato bellissimo realizzare Drone San, ma dopo i due anni passati la priorità numero uno è suonare. Abbiamo introdotto un terzo musicista nel progetto – Davide è il suo nome e la chitarra il suo strumento – e stiamo organizzando un tour che partirà dopo l’estate. Per quanto riguarda il silent book stiamo lavorando a una formula dal basso che ci consenta di reggere la botta – è molto complesso far uscire un vinile con un libro dentro – e avrete nostre notizie ben presto.”

Video:

Mark Lanegan. SIng Backward and Weeps

Il 22 febbraio 2022 rimarrà impresso nella mia mente come uno dei più grandi giorni di merda della storia.
Questa schifosa palindromia numerica mi si è attaccata nel cervello – organo per me solitamente incapace di trattener sequenze anche basilari di cifre e numeri – come indelebile e funereo memento del giorno della morte di Mark Lanegan.
Sapevo dei suoi trascorsi poco piacevoli con il COVID-19, malattia che lo aveva ridotto fino al coma (eventi narrati nel libro Devil in a coma, inedito in Italia), ma di certo non potevo immaginare che la faccenda potesse prendere una piega così definitiva e drammatica.
Cazzo! Niente più concerti, niente più emozioni imprigionate in dischi meravigliosi, niente di niente.
Metto su Blues Funeral dato che siamo in tema, uno dei suoi album che più mi piace, mentre cerco di ripercorre nella mente ogni volta in cui la sua musica si è intrecciata con gli eventi della mia vita. Mi assale una gran tristezza, avvolta in una palla vischiosa di malessere che si abbarbica giù nell’esofago.
Questo sarà un articolo imbevuto di malinconia, portate pazienza.

Lanegan, dopo una vita trascorsa più da superstite che da rockstar, alla fine se n’è andato da questo mondo come da sua ben consolidata tradizione: sgattaiolando via dalla porta di servizio, evitando di dare spiegazioni e senza inutili clamori. La triste notizia, resa pubblica dalla moglie con un tweet dall’account ufficiale dell’artista, racchiude in poche righe tutta la semplicità che lo contraddistingueva.

Our beloved friend Mark Lanegan passed away this morning at his home in Killarney, Ireland.  A beloved singer, songwriter, author and musician he was 57 and is survived by his wife Shelley.  No other information is available at this time. We ask Please respect the family privacy
8:41 PM · 22 feb 2022

Le sfaccettature di questo suo scostante ma sincero modo di essere, aveva provato a raccontarle poco tempo fa, nel suo primo libro autobiografico intitolato, in maniera molto melanconica e in linea col tono della mia scrittura, Sing backwards and Weep. Il volume è uscito in America nell’aprile 2020 per Achette Books, poi tradotto e pubblicato in Italia da Officina di Hank nel 2021 a cura di Lucia Morciano.

Un libro fondamentale per chiunque abbia seguito e amato il cantautore di Ellensburg, esordiente come come front-man degli Screaming Trees, per poi proseguire un percorso artistico personalissimo e pieno di collaborazioni, durato quasi trent’anni.
Nelle parole di questo libro ho ritrovato la voce ruvida e spontanea di Lanegan. Una autobiografia sincera, senza edulcorazioni o omissioni di colpe, soprattutto quando in difetto veniva a trovarsi proprio lui.
Le oltre 350 pagine scorrono via che è una meraviglia, tra divertenti aneddoti di vita quotidiana a vere e proprie ordalie tossiche alla ricerca di qualsiasi tipo di droga, con una mortale vocazione per l’eroina.
E proprio le pagine dedicate all’eroina sono quelle più dure. Una fratellanza oscura che si è divorata tutto quello che di buono c’era attorno a lui. Il ricordo di Kurt Cobain prima e di Laney Staley poi, rendono bene l’idea della sofferenza di chi vede andarsene i propri amici e, nonostante tutto, continuare a percorrere il sentiero tortuoso e oscuro dell’autodistruzione senza porsi valide alternative.
L’eroina, mortifera compagna di queste anime inquiete, si annidò nelle loro vene come un lugubre parassita impossibile da sfamare e, stritolata nelle sue fauci seducenti, cadde una intera generazione di musicisti fra i più talentuosi della scena post-punk americana.

Il termine grunge, o Seattle Sound, nacque proprio per etichettare un’intero movimento, assai più variegato e frastagliato di quanto si possa credere.
Nuovi gruppi musicali formati da ragazzi giovanissimi e di varia estrazione sociale, provenienti da dei piccoli buchi del culo del mondo sparsi per l’America, si ritrovano – talvolta loro malgrado – catapultati sui più grandi palchi mondiali, cavalcando l’onda commerciale della MTV generation: una mamma sorniona e un po’ puttana che prima li foraggia col latte acido delle sue tette miliardarie e poi li scarica fottendosene beatamente.
In quegli anni, la diffusione esplosiva della rete televisiva MTV, ebbe un impatto immediato e di portata globale sulla musica pop in generale e, per esteso, anche sulla società, sulla cultura e sullo stile visivo dei giovani di quell’epoca.

I membri di questa nuova tribù catodica venivano irretiti in una continua orgia di contenuti visivi, rito unificante che andava ridefinendo il nuovo modo di fruizione della musica.
Il videoclip si impone come nuovo idolo da venerare, comodamente seduti sul divano di casa.
Il successo commerciale delle band è immediato e l’uso del termine grunge si amplia in maniera generalista, inglobando nella sua descrizione anche l’abbigliamento e lo stile: ovunque è un tripudio camicie di flanella da boscaiolo, t-shirt scolorite e slabbrate, jeans strappati, capelli lunghi e anfibi consumati.
Gli attori di questa moderna parata mediatica, sfilano coi loro vestiti sdruciti sugli schermi luccicanti dei televisori accesi a tutte le ore: Nirvana, Soundgarden, Screaming Trees, Smashing Pumpkins, Pearl Jam – solo per ricordare i più noti – mordono la velenosa mela della globalizzazione, diventando famosi in tutto il pianeta.
Rabbia, inadeguatezza, malessere sociale e psicologico, malinconia, amori impossibili e tanta droga sono gli argomenti che rimpolpano in un primo momento i testi di questo nuovo genere. Pearl Jam e Nirvana su tutti, trascinano questo gruppo eterogeneo fino alle vette più alte del successo, vendendo milioni di copie in tutto il globo. Il grunge deborda dai propri confini e infesta come uno sciame di locuste, tutti i tipi di programmi televisivi, dai talkshow live alle rubriche pop per teenagers.
Poi il 5 aprile del 1994 qualcosa cambia in maniera definitiva: il corpo di Kurt Cobain viene ritrovato in casa privo vita, pochi giorni dopo un ricovero per overdose da Roypnol.
Dopo quello sciagurato colpo di fucile in testa, le band iniziano a sciogliersi.
Lanegan attraversa tutto questo subbuglio mediatico interessandosi soltanto alla droga e alla musica.
La prima, sarà una maledizione che lo porterà ai limiti della sopravvivenza, privo persino di un tetto sotto al quale dormire, mentre la seconda continuerà a essere l’ancora di salvezza alla quale aggrapparsi per risalire dal più profondo degli abissi.
Da questi anni difficili e irripetibili emergono in pochi, lasciandosi dietro una scia di amici morti, qualche libro e tanti bei dischi.

Un mio ricordo privato troneggia su tutti gli altri, personalissimo e quasi confortante: era il 20 novembre 2002, il concerto dei Queens of the Stone Age al Vox di Nonantola era finito da circa un’ora e io, galvanizzato, me ne stavo fuori dal locale a bere birra e fumare con i miei amici. Parlavamo del concerto appena finito, giusto per dilatare ancora un po’ il tempo di quella fantastica esperienza, prima di rientrare nella camera d’albergo a pochi passi di distanza.
Tutto il rumoroso e luccicante baraccone dei QOTSA era già partito da tempo sopra un tour bus-discoteca; se ne erano già andati via pure i tecnici del service audio.
All’improvviso, il nostro terzetto fancazzista viene illuminato dai fari di una Clio nera tutta scassata che parcheggia a qualche metro di distanza da noi. Ne esce fuori un tizio alto e allampanato, con un berretto nero di lana ficcato in capo.
Con passo pesante, lo sconosciuto si avvicina a noi e con voce roca e un po’ stanca ci apostrofa: “Sorry guys, do you have a lighter, please?”
Le mani corrono istintivamente all’accendino, poi alle sigarette per paura di rovinare l’attimo e passare da taccagni
Con le sigarette ficcate in bocca, fumiamo in silenzio, condividendo l’attimo in mezzo al parcheggio deserto del locale.
Cazzo! Stavo davvero fumando con Mark Lanegan in persona, discorrendo di musica come se fosse il quarto elemento mancante al gruppo!
Alla fine della cicca, così come se ne era arrivato, se ne andò via sulla sua Clio scassata presa chissà dove. Prima di salire in macchina, si voltò verso di noi per ringraziarci della sigaretta e per essere andati al suo concerto. In patria non lo consideravano gran che, ci disse prima di rimontare in macchina, quasi sicuramente in cerca di qualche spacciatore ancora in attività.
Questo era Mark Lanegan. Un fottuto figlio di puttana con un talento smisurato.

Il libro è acquistabile dal sito di Officina di Hank  al prezzo di 20 €, ristampato in questi giorni con la copertina originale dell’edizione americana.

Cristiano Perso, rumorismo introspettivo

Viaggio nella poetica sonora e urbana dell’artista pistoiese

Il 23 Gennaio del 2021, Cristiano Perso pubblica il suo esordio Ritratti per Fango Radio Editions. L’etichetta, toscana come lo stesso artista, ha origine per l’appunto da Fango Radio, emittente radiofonica che ha vita nell’etere informatico, e che ha dato prova nel corso del suo tempo, in diretta o attraverso i podcast rintracciabili su Mixcloud, di dare voce all’ampio corpus diversificato del movimento indipendente musicale, italiano e non solo, nel nome dell’elettronica, dell’avanguardia, ma anche del punk e della psichedelìa eterodossi, più altro ancora. A sua volta, Fango Radio ha al suo vertice l’associazione culturale Fango, direzionata da Alessio Chiappelli e Francesco Lippi, entrambi a capo dell’etichetta e l’emittente sopracitate. Ritratti, a livello di produzione, è un lavoro che va alla scoperta della poetica di Cristiano Perso, ovvero di un componente della scena locale di Pistoia; d’altra parte, Perso guarda anche ad elementi extra-autoctoni, in cui è esplicativa la diversificazione della scena in fatto di personalità artistiche eterogenee. Ad esempio, Cristiano Perso percepisce differenze con Francesco Lippi (in arte DPK 800 nel suo ruolo di creatore di musica), più legato al concetto di musica come racconto con elementi familiari. Infatti, mentre altri autori elettronici (della provincia di Pistoia o zone limitrofe) come subzero e shadowcomplex sono artefici di una techno più periodica e ortodossa, l’indice di casualità diventa più alto sia con DPK 800 che con Perso. Ma se il primo gioca con immagini naturali, sia della musica dancefloor o quella più lontana dal contesto, integrando diversi sample, il secondo è più intento a dipingere un quadro astratto, iper-reale con i suoi mezzi a disposizione, esprimendo un rumorismo urbano più estremo.

Per l’appunto, Ritratti ha una tonalità oscura e noise, con venature breakcore o di una techno molto violenta. La prima traccia, frafede, ha una percussività distorta e malsana; c’è un pattern che si ripete in loop e linee di synth grezze, torrenziali generati da programmazioni mefistofeliche (a livello di software). KOLE58.2 è più netto nella cadenza ritmica di tutte le voci, assumendo in alcuni punti dei tratti dancefloor. Mentre pat54f è delineata da un harsh noise più lisergico e assumendo nel suo corso una forma più astratta. Ritratti sperimenta le potenzialità del suono, plasmandolo con strumenti sì essenziali (synth e software) ma con una creatività originale per molti versi in forma magmatica e distopica, che meriterebbe più attenzione.

Inoltre Cristiano Perso ha offerto come esclusiva per la nuova carne una jam di sua creazione, dal titolo jam06. La traccia mostra un andamento più costante e rarefatto rispetto il suo passato, attraverso un cammino fugale costruito come una sinusoide labirintica che verso la fine assume una forma non-euclidea. La registrazione comunque, nonostante riduca leggermente i suoi bpm, mantiene intatto l’impatto distorto e idiosincratico della poetica del suo autore, attraverso un suono più techno, implementandolo però di elementi alieni o poco comuni al genere. 

Di seguito l’intervista a Cristiano Perso sul suo debutto, la sua scena, altre registrazioni e il suo futuro.

Cominciamo dal tuo esordio. Qual è stato il tuo percorso che ha portato a Ritratti, la quarta release per Fango Radio Editions, all’insegna di suoni alieni, claustrofobici e con un elevato grado di aleatorietà?

“Premettendo che nei due anni precedenti e tutt’ora non ho ancora definito in maniera comprensibile e semplice le dinamiche che vado cercando all’interno della mia produzione, audio o video che sia, posso dirti che il percorso è iniziato tempo addietro grazie alla ricerca di un linguaggio visivo e puramente estetico da utilizzare nella decorazione della mia produzione ceramica. Da lì ad applicarlo alla produzione musicale il passo è stato fatto quasi istintivamente vista la mia formazione a livello di fruizione musicale negli ambienti promossi alla musica elettronica e rave.

“Se mi posso permettere non definirei quello che faccio claustrofobico, piuttosto introspettivo, magari un’introspezione molto costretta, la mancata riuscita dell’esternazione di sentimenti opprimenti e bisogni, utilizzando il linguaggio canonico della comunicazione umana, e in effetti riconosco che, a dirla così, suona tanto claustrofobica, nonostante ciò non penso sia un aggettivo consono alla mia produzione, in quanto pensata proprio per uscire dalla costrizione di uno spazio angusto e asfissiante come può essere la testa di una persona quando è presa male.”

Ritratti si muove in un immaginario rumorista, ma attraverso un’elettronica urbana; le tracce, che potrebbero essere intese come ritratti, in fede al titolo, sono in realtà scomposizioni granulari e randomiche di campioni della realtà (metaforicamente parlando). Però da quello sembra il lavoro gioca molto con pattern digitali, più trascendentali e con una forma lovecraftiana e futuristica per il loro dinamismo contemporaneo. La tracklist in generale è costituita da pezzi caotici ma con una struttura di fondo mefistofelica. Molto spesso, come in p***u rec 1 o , viene mostrato il lato più nichilista e dancefloor allo stesso tempo, aspetto più evidente in pattern54, con dei richiami breakcore ritmicamente incalzanti. Ritmiche che approssimano a frattali in maniera perfetta permeano la release, generando un lavoro proiettato sicuramente nel futuro prossimo. Ti chiedo di quale tecnologia ti sei servito, se hai utilizzato campioni dalla realtà, e con quali algoritmi hai generato elettronicamente le figure sonore dei frattali.

“Ho utilizzato tanto quello che mi è capitato a portata, ho avuto la fortuna negli ultimi 3 anni da quando ho iniziato a giocare un poco più assiduamente di riuscire a mettere insieme alcuni hardware della Korg, un paio di campionatori e un paio di synth, tolta la figura iconica per la mia adolescenza della macchinetta da battaglia da usare anche alle feste più brutte e zozze, la serie Electribe della Korg in particolare l’SX di cui sono proprietario mi ha aiutato tanto a trasporre in analogico e nei live set le dinamiche che avevo solo teorizzato e scritto nelle tracce fatte con software, per l’appunto fino a 3 anni fa l’unico mezzo di cui disponevo.

“Per la realizzazione dell’album tuttavia registrazioni dirette dagli hardware da me posseduti, sono state utilizzate solo per metà delle tracce, curiosamente alcune di esse sono proprio quelle da te citate nelle domande; buona parte del lavoro fatto sulle tracce di Ritratti è avvenuto su software, principalmente software a licenza libera, campionando registrazioni degli hardware o scrivendole direttamente con i plug-in e i campioni in dotazione ai software.

“Campioni d’ambiente e algoritmi non ne ho usati per queste tracce, campioni ambientali ancora non ne avevo mai neanche fatti ai tempi, se sei interessato a sentirne qualcuno butta un occhio ai pattern video che ho caricato su Insta, gli Instaworks e Seaworks, lì è un filo estremizzato il concetto di ripetizione ossessiva ed è tutto una processazione di audio e video d’ambiente.

“Per gli algoritmi mi metti un po’ in difficoltà, non so se ne ho usati o se li so usare, nella produzione ho preso e utilizzato un po’ quello che mi capitava come ti ho detto, senza guardare se quel plug-in o quell’effetto erano una cosa piuttosto che un altra, essendo autodidatta mi manca proprio l’infarinatura base per poter dire questo è quello e quello è questo. per la creazione dei ritmi mi sono sempre affidato al copia/incolla definendo le variazioni in base a errori casuali o a inclinazioni umorali e non che avvenivano sul momento in fase di produzione.”

Riferendoci ad una delle tracce sopracitate, vi sono due versioni di pattern54, una originale e una che potrebbe essere riprocessata. Se nella prima il ritmo è più nitido e periodico, la seconda è più allucinata e dalle linee più sfumate, spesso distorta da delay. Se il primo, come ho sottolineato in un certo senso nella precedente domanda, è all’insegna di una techno deviata, si può dire che pattern54 (rework) esprime il lato freak più evidente nella release. Vorresti spiegarci che tipo di ricerca sonora hai effettuato per  questa doppia versione di pattern54?

““Presto detto”, come puoi aver intuito dalle produzioni e dalle cose di cui abbiamo parlato nelle domande precedenti, si potrebbe dire che gli estremi dei miei lavori sono uno la propensione al ritmo, che per quanto spezzato in alcune tracce ricerca comunque la ripetizione ossessiva caratteristica della musica da rave e l’altro è la sperimentazione di sintesi e modulazione, principalmente indirizzata verso la pienezza dell’ambiente sonoro, da qui l’utilizzo come carattere dominante di distorsioni di diverso tipo spesso combinate con delay e riverberi, tutto ciò pensato per ottenere qualcosa che non lasci spazio a momenti vuoti o di calma.

“Inizialmente non era previsto che ci fossero due versioni di pattern54, messe a confronto però durante la fase di produzione abbiamo deciso di comune accordo con i ragazzi di Fango di includere entrambe le tracce, appunto per la differenza di intenti delle due versioni della traccia.”

Parlaci del tuo legame con la Fango Radio Editions e DPK800; come si è esplicato il loro incoraggiamento nella tua poetica e produzione?

“Fango Radio è stata la prima realtà a interfacciarsi col mio lavoro, possiamo dire che sono stati i primi ad apprezzare quello che inizialmente era solo il prototipo della musica che faccio e ad alimentare la fiducia in esso da parte mia. A tirare le somme non frequento assiduamente l’ecosistema che hanno creato nell’area pistoiese in primis con puntate qui e là anche fuori sede, ma i momenti in cui ho avuto a che fare o mi sono potuto confrontare con loro sono stati fondamentali per avviare e continuare tutt’ora il percorso che sto facendo, sia per le possibilità che mi hanno dato di partecipare con performance live quando ci sono state, sia per il progetto di Ritratti, prima esperienza di produzione di un album, dinamiche di produzione a cui ero totalmente estraneo.

“DPK800, amico di vecchia data, fin dai primi timidi approcci alla produzione musicale mi ha messo di fronte alla varietà del panorama musicale, sia a livello internazionale che a livello territoriale, che può sembrare scontato ma non lo è così tanto, posso dire che a livello di gusti musicali per alcune cose siamo sulla stessa linea per altre agli estremi opposti e forse proprio in forza di questo confrontarmi con lui negli anni mi ha insegnato all’esplorazione e all’apprezzamento della sperimentazione a prescindere dai gusti personali e dalle convinzioni che mi hanno sempre accompagnato nella definizione di musica.”

Parlando di alcuni tuoi live, le cui sessioni sono rintracciabili su Soundcloud, esse hanno una forma più periodica ed automatica e meno fugale. Da questo punto di vista, viene data una forma completamente diversa ai tuoi live rispetto al lavoro di artigianato di Ritratti, il quale risulta essere più meditato e artefatto. Una forma dal vivo che coglie la possibilità di creare in tempo reale, in nome della tua poetica disturbante. Ma detto da te come avviene questa differenziazione tra i due tipi di lavori?

“Io non ho ancora mai imparato decentemente a mixare ne a strutturare liveset sul pc (non del tutto ma anche per mancanza di strumentazione), di conseguenza la produzione avvenuta attraverso il solo utilizzo dei software finora è sempre stata molto più meditata e pensata traccia per traccia come progetti finiti fini a se stessi piuttosto che come pezzi di una performance.

“Di contro la produzione avvenuta mediante gli hardware è stata più libera e immediata, non che ci sia meno da lavorarci ma il formato attraverso cui avviene permette di spaziare molto di più nell’aspetto performante del live set, una volta stabilite delle basi solide.”

Un esempio di sessione è Live ETCNI, un viaggio distopico tra ritmi paranoici e distorsioni elettroniche e (verso la metà) più lateralmente psichedeliche, variando spesso ad intervalli larghi il gioco di sintesi che si ripete in un tempo più ravvicinato. In quale occasione sono avvenuti questa session e i suoi suoni?

“ETCNI è nato come performance per lo show di presentazione di Ritratti, le sonorità che caratterizzano il set sono nate dopo la presa di coscienza delle possibilità date dal mixaggio concatenato degli effetti dell’esx, combinata con i primi timidi approcci alla sintesi fm (pratica di cui per ora ho appena scalfito la superficie). In quel periodo stavo attraversando un brutto momento della mia vita privata, tutto ciò ha contribuito a rendere la realizzazione del set una purga emotiva, un tentativo di esternazione del disagio volto alla ricerca di un equilibrio interiore attraverso la dissociazione data dai ritmi costanti e senza sbocchi sulla realtà dei suoni, un distacco temporaneo dal trauma per processarlo e metabolizzarlo.”

 

Kole Live Set For Phase scorre attraverso un flusso centrifugo e idiosincratico, all’insegna di una techno dinamica, barocca (in senso lato) e spesso granulare. Un sound di una psichedelìa contemporanea, suddivisa ad istanze, e che molto spesso nel suo scorrere supera i parametri esistenti creandone uno nuovo in un nuovo spazio più ampio. Domanda simile a quella di prima: qual è il contesto della registrazione e il suo artigianato automatico?

“Kole è stato meno impegnato a livello emotivo, nato inizialmente in una sua versione più grezza e quasi da concerto per il natale da Fango, nel corso dei mesi successivi, di pari passo con l’arrivo della pandemia, ha subìto diversi cambiamenti ed evoluzioni sia strutturali che stilistiche, essendo il primo live set completo scritto è stato il tavolino per le prime sperimentazioni legate alla ritmica, i suoni, gli effetti, da qui la differenziazione da Etcni in quanto molto più eterogeneo come set. Punto fondamentale della sua scrittura è stato l’isolamento che abbiamo vissuto tutti durante il primo lockdown, situazione pesa e snervante che ha fatto da motore all’arricchimento del prodotto iniziale portandolo al set finito.”

 

Per concludere, quali saranno i prossimi tuoi concerti? Quale cambiamento dobbiamo aspettarci dai tuoi prossimi lavori?

“Al momento ho da parte un altro live set che non ho ancora avuto occasione di registrare, mi viene da dirti per fortuna, visto che negli ultimi due mesi dopo occasionali riflessioni ho deciso di rimetterci le mani sopra prima di dirlo definito.

“Un cambiamento prefissato potrebbe essere un lavoro un po’ più “canonico” nell’ambito dance, cosa che tra l’altro inseguo da quando ho iniziato a scrivere musica e mai riuscita pienamente, la classica techno col battito in 4/4 per intenderci, o meglio un incontro tra le mie sonorità identitarie e il suddetto ritmo, un concilio di difficile fattura, almeno per il momento al livello di abilità che ho.”

Grazie mille, e a presto.

“Grazie a te, è stato un piacere.”

Damien Marksson: digitalismo lo-fi organico e barocco

Intervista all’artista dell’Isola di Man e analisi della sua arte sonora

Damien Marksson è un’artista elettronico, proveniente dall’Isola di Man, che gioca con plasticità MIDI e sampling music in maniera elastica e insolitamente originale. La sua musica innalza in maniera controcorrente nell’arte dei suoni il concetto del brutto come contemplazione nell’ascolto, ostentando un suono lo-fi inerente alla cultura pop e all’avanguardia, che si serve non più di rudimentali strumentazioni o associabili tecnologie di registrazione, similmente a Velvet Underground o Daniel Johnston, ma sfruttando il potenziale digitale di internet, di un computer e di programmi in free download o economici. Inoltre, là dove la musica di Marksson risulterebbe apparentemente confusionaria e inconcludente, vi sono spunti per idee strutturali e complesse, e una visuale uditiva di arte povera, pop art, matematica e surrealismo. Arcanum Amarna Late At Night, pubblicato dall’etichetta italiana Pampsychia quest’anno (2021), realizza quest’idea attraverso un artigianato artefatto, organicamente spontaneo, e giocato su un ritmo barocco (in senso lato). La sostanza primordiale del disco, in formato CD, è timbrica MIDI e arte dell’editing; i due aspetti si combinano esattamente come un gioco materico tra testimonianza del reale dei campioni (catturati digitalmente) e elettronica, dalla origine più eterea. Tale scelta del timbro MIDI offre sicuramente una struttura quantizzata all’ascolto, caratterizzandolo all’insegna del contrasto tra diverse qualità sonore. Le linee melodiche e ritmiche si auto-contrastano in maniera disarmonica in cui un pop più propriamente barocco, quasi altisonante, e che attinge dal Romanticismo (in maniera scomposta), si combina con complessità hip hop (più esplicativa da questo punto di vista è Euclid’s Ninth Spay Can), susseguendosi per istanze nette. Arcanum Amarna Late At Night risulta inoltre uno dei lavori più organici di Marksson, più meditato, elastico, elegante nell’idea concettuale dei pezzi. Un suono break e elettronico eterodosso in maniera avanguardista.

Tra le varie influenze, l’estetica di Damien Marksson ha origine in maniera più o meno inconscia dal funk o jazz elettronico, folgorandosi da turbini lisergici di derivazione africanista. Damien infatti, nella nostra interazione verbale, accenna al fatto di aver cominciato a creare musica ispirato dal Miles Davis elettronico, e in particolar modo dall’ascolto di On The Corner, per poi approdare negli ascolti in lidi più legati alla techno eterogenea e progressiva di Aphex Twin e Venetian Snares. Un percorso confluito successivamente in una manipolazione per lo più digitale dilatata, ironica, giocosa, e soprattutto lo-fi nel processo di produzione.

Oltre ad Arcanum Amarna Late At Night, la gran maggiormante dei lavori di Marksson è stata prodotta per la GWB ©orpo®ation Nation, l’etichetta con cui Marksson ha uno stretto legame collaborativo. Infatti il suo contributo (utilizzando nei crediti moniker diversi) compare in quasi tutto il catalogo, o in quanto autore di linee di basso o come produttore. A nome suo ha pubblicato fino ad oggi sette album: Excalibur del 23 Giugno 2017, e METALZ del 7 Marzo 2018, e una serie quasi in blocco uscita più recentemente, ovvero Careless Iconoclasm il 28 Ottobre 2021, Brothers Of The Pipe, Early Works Vol.1 (quest’ultima comprende una parte di lavori del passato, precedentemente mai pubblicati), Monotone Ominous: Oblivious Obsessions and the Rest, tutti e tre del 29 Ottobre 2021, e CRTM del 4 Novembre 2021.

Il primo album di questa serie è Careless Iconoclasm, caratterizzato da un’ambient astrattista e poliedrica; se la traccia intitolata Sentiment Artifact è permeata da richiami inconsci alla natura, Blues Eulogy rimanda ad un suono più antropizzato, ovvero un blues storto e primitivo dei rimandi.

Brothers Of The Pipe è maggiormente all’insegna di un sonorità caustiche, in particolar modo per la psichedelia aliena, piacevolmente viscerale e sarcastica, e per gli invasivi picchi di volume; Misplaced Laughter e Splendid Easter Egg Surprise realizzano al meglio questo concetto, tra un ambient eterodosso, sarcastico, oltre-umano e centrifugo, con picchi di volume che potrebbero provocare un conseguente acufene.

In Early Works Vol. 1 compaiono gli esordi creativi di Marsson, dove esecuzioni di strumenti (a corde o synth), e con il contributo del sassofonista Larry Malevolent in Magicans, realizzano un’idea di musica naïf e ingenua in divenire, che raggiungerà maggiore maturità nei lavori successivi.

Monotone Ominous: Oblivious Obsessions and the Rest è sicuramente il picco di Marksson, dove sorpresa e composizione dilata generano una reazione biologicamente complessa molto simile alla fermentazione, mettendo anche in risalto, in senso lisergico, sonorità elettroniche urbane in senso obliquo e complessamente matematico.

La combinazione di sampling e musica originale continua in CRTM, in modo definitavemente più organico rispetto i primi vagiti discografici. Un rappresentante caratteristico dell’album è sicuramente … And the Hound, dove diversi pezzi, alcuni più noti, emergono e scompaiono a turno, a più riprese e in forma sempre diversa e oltraggiata, attraverso un campionamento massiccio e barocco (in senso lato).

In merito al suo nuovo materiale, Marksson ha affermato: “Spero che presto alcune di queste release usciranno in formato fisico. Ho prodotto molta musica ed penso che, in fin dei conti, sia destinata a quei pochi che l’ascolteranno adesso o nel prossimo futuro. Sono sicuro che il mio materiale merita di essere ascoltato almeno una volta, per il momento.”

Di seguito l’intervista a Damien Marksson sul suo percorso artistico di Arcanum Amarna Late At Night e degli scorsi anni. 

Cominciamo a parlare del tuo ultimo lavoro, ovvero Arcanum Amarna Late At Night, pubblicato per la label italiana Pampsychia il 20 Aprile del 2021. Come è nato il suo concept, e come si sviluppa la sua forma lisergica e plastica all’insegna del sampling? Inoltre, puoi parlarci della strumentazione usata? Con quale criterio sono stati selezionati i sample?

Parlando di Arcanum Amarna Late At Night, penso che si potrebbe dire che la musica e il concept emergono nello stesso momento. Ho passato una notte con alcuni dei miei amici con cui sono molto legato a Montreal, in Canada, e ho scoperto per caso una copia del “Fake Book”, un libro di standard del jazz con gli associati accordi e melodie. In questo libro ho trovato una ballad di Coltrane con alcuni accordi complessi, almeno dal mio punto di vista. In quel momento ebbi un po’ di difficoltà con quegli accordi e su come utilizzarli. Ad esempio, mentre i miei altri amici lasciavano la stanza in cui alloggiavamo per mangiare, io ero tutto preso con il mio Fake Book e con la tastiera MIDI che si trovava con me. Decisi di imparare a suonare gli accordi di questa interessante ballad che avevo appena scoperto. Dal momento che non sono mai stato un pianista/tasierista performativo, ho deciso di focalizzarmi sulle sole note che si trovano su una sola ottava. In sostanza, ho imarato a suonare gli accordi entrando in sintonia con quella parte della tastiera. Cominciai con lenti progressi, e alla fine imparai come suonare questa sequenza di accordi molto velocemente.

All’inizio notai che spesso accordi consecutivi condividevano almeno metà delle stesse note. Questo  mi diede molte idee in poco tempo nel sviluppare il mio apporto musicale, tant’è che mi ricordo di quel breve e intenso momento creativo come se fosse ieri, anche se, per diverse ragioni, non posso ricoradere il titolo del pezzo di Coltrane, né come si suona. 

Il primo brano che ho creato non molto tardi è l’apertura di Arcanum Amarna Late At Night: Vlad Input’s Hexagonal Desires. L’idea è stata prendere questi accordi di tipo coltraniano, be-bop, post-bop, pre-free, o dell’Età Romantica, e costruire, insieme ad essi come base armonica, qualcosa di simile all’elettronica ambient. Di contrasto il risultato finale non rimandava né all’elettronica ordinaria, né all’ambient, ma non rimasi per nulla insoddisfatto di quello che avevo prodotto. Più emblematicamente trovai la musica arcana, datata, e allo stesso tempo iper-futuristica. Sentivo di aver scoperto il mio nuovo pianeta sonoro. Le altre registrazioni furono realizzate nel giro di un anno, successivamente messe insieme gradualmente in uno o due anni, e alla fine il tutto fu missato e completato.

C’è in sostanza della sampling music, tuttavia solo il 98% del disco sono sample creati da me. Un solo sample è stato estratto da altre registrazioni più professionali ed è una traccia di batteria di una band thrash metal; è stata magistralmente editata e messo in risalto il suo pieno potenziale. Il resto sono tracce MIDI o mie registrazioni. 

La struttura dei vari pezzi è prodotta organicamente nel momento in cui ho composto e registrato i suoni. Un po’ di tutto è stato realizzato. Molto spesso composto a mano su carta, trascrivendo il tutto su MIDI, e poi ho registrato sopra alcune take di vari strumenti. Ogni traccia è stata pesantemente editata, tranne per due composizioni interamente MIDI. Le registrazioni sono state montate lentamente nel corso del tempo, con vari ripensamenti di eventuali aggiunte estratte da altre sessioni. Mi concedevo piena libertà con i file audio che accumulavo. Attraverso articolate strutture che guardano ad astrazioni matematiche, studio di frattali, oppure estemporanee improvvisazioni,  avevo un approccio ben consapevole alla musica, in modo da usare quasi tutto quello che avevo a mia disposizione.

Il suono di Arcanum Amarna Late At Night fluisce attraverso un contesto pop in modo psichedelico. Le linee sintetiche richiamano sonorità easy listening con un’attitudine verso la sperimentazione con un’astrattismo simile alla library music (“easy listening” non significa necessariamente qualcosa di attinente con lo spettro della musica commerciale, ma si intende lo specifico genere musicale sviluppato nel Dopoguerra, e che è destinato alle colonne sonore di pubblicità al cinema o in TV, o come sottofondo nei negozi. Il suo suono è consonante, puro, mai smaliziato, e in uno stile che rimonda alla classe media-alta). Ci sono anche degli elementi patinati, che fanno parte di un immaginario popolare/hip hop (la traccia A Walk With Nasta fa il suo buon lavoro in quel modo), o illuminati da un irradiamento policromato, simile all’immagine presente in copertina (due principali esempi sono la suite naïf Frolic In Dark Green e il corso sonoro dinamico Shockwave Yellow, Walk On). La musica è una fuga arlecchinesca, con un modo di lavorare lo-fi e rudimentale, che associa break music con suoni digitali. Potrei chiederti come nasce questo collegamento, e in riferimento al discorso che ho fatto, quanto ti senti parte del movimento breakcore?

In realtà non conosco il genere breakcore. […]

Penso che elementi noise o astratti vengono fuori di più dall’arte e il mondo della letteratura. Il concetto di decostruzione viene da Derrida. La tecnica di cut-up è di William Burroughs, anche se in questo caso, viene applicata alla musica. Cubismo, astrazione… Sì, diciamo che ogni volta che scompongo una registrazione lo faccio in un certo senso con quell’intento; un intento a trasporre quei pezzi in un altro tipo di musica, o a creare percorsi del tutto nuovi. Niente è realmente distrutto. La musica è una registrazione. E io porto quelle registrazioni a nuove possibilità.

Il suono è in un certo senso ridicolo, in senso propriamente detto. Speravo di contrastare questa sensazione di ridicolezza con momenti di elevata potenza matematica e fisicità. La musica vuole essere cinematica nel suo contesto. I due album che in questo caso mi hanno davvero ispirato sono Far Side Ritual di James Ferraro e Typhonian Highlife (Spencer Clarke) di HR Ginger Studiolo. Entrambi gli album sono lavori di estremo post-impressionismo musicale, ed entrambi vivono di vita propria. Musica su musica su musica su musica che è ancora tutta grande musica.

Il mio grande amico Seif Gaber, che crea musica sotto il nome di Polonius (e molti altri alias, come per esempio Seif G), mi ha davvero ispirato secondo una simile estetica. Possiamo dire che la musica di Polonius potrebbe benissimo avere luogo in un periodo dell’Antica Grecia da molto tempo dimenticato, anche se sta succedendo adesso. La sua musica ti prende per il colletto e ti trascina in un mondo che è sia antico, che totalmente nuovo e non familiare nello stesso momento. Un suono che ad un certo punto diventa inquietante e pauroso, e spesso si trasforma diventando piacevole e anche un po’ divertente. Tutti i suoi album migliorano sempre più all’ascolto e ti fanno scoprire un mondo. Quelli per me più impattanti sono L’Aventurier, MAGICAL EGYPT, POLONIUS, ANTIQUE MARVEL, Son of Checkmate Eternal Warriors, anche se qualunque cosa lui abbia prodotto è una continua scoperta.

Seif è anche un membro di Grey White Blue 1972, Ripley Devolta e a quanto pare ha collaborato con l’imperscrutabile band Gondola Wish. Tutti questi artisti, e molto altro, possono essere ascoltati sull’etichetta GWB Corporation Nation.

In riferimento a Pampsychia, come avviene la tua collaborazione con questa interessante label? Le sue altre release giocano con una poetica pop-plastica e con un fulgido lo-fi rumorista. Cosa ti attrae da questa realtà sonora italiana? Sei interessato anche ad altre label simili, come Artetetra e Sonic Belligeranza?

Seif seppe di Riccardo (Patrone, nda) di Pampsychia, e alla fine coinvolse anche me. Pampsychia aveva in quel momento prodotto un album di uno dei tanti progetti di Seif, ovvero Rorschac con l’album Lolophophora, Mandai a loro l’album Arcana e venne apprezzato. Fecero il mastering finale (Giancarlo Brambilla) e anche la realizzazione della cover, e per tutto questo gli sono molto riconoscente,

Allora mi piacque tantissimo Lolophora, come Pollo Gordo di Senor Service e xperiametaphone di Reptilian Expo. Tutti questi album suonano magnificamente magici e unici.

Amo la cultura europea e di conseguenza anche quella italiana. Sono nato nell’allora Juogoslavia e fu un posto molto confortevole dove crescere per via di tutte le cose caratteristiche dell’Europa, soprattutto il cibo. Amo la cucina e il cinema dell’Italia, e che sono giustamente conosciuti in tutto il mondo. Spero, quando potrò, di rendermi conto davvero come sono fatte realmente alcune di queste città italiane. Mi piacerebbe andare in qualche museo, visitare antiche rovine, mangiare piatti deliziosi e vivere l’esperienza di musica dal vivo nuova. Spero presto.

Al liceo mi piacevano molto alcuni gruppi italiani come Le Orme e Area, e successivamente Seif mi indirizzò all’ascolto di quello che sta succedendo musicalmente adesso in Italia. Lì ha molti amici con attitudini artistiche, e ha diversi punti di appoggio. Con la lenta ripresa dal COVID stanno ricominciando le trasferte per concerti; questa è una fantastica novità.

Sono in semi-contatto con Artetetra, e per essa mi piacerebbe pubblicare un mio album. Sarebbe un vero pregio. Io e Seif diamo il nostro contributo in Exotic Ésotérique Vol​​.​​3 come Polonius & Xénomorphe. Mi piacerebbe approfondire la conoscenza di Sonic Belligeranza quanto prima.

Potremmo dire che la tua idea, che è in parte all’insegna del montaggio e del sampling, è interessante e fervida. Essa è espressa attraverso una selezione dei tuoi campioni (e non solo), che vengono alterati in maniera dilatata, con l’aggiunta di sample esterni. Un simile modus operandi avviene anche nelle tue release precedenti (di cui parleremo nelle domande successive), anche se in Arcanum Amarna Late At Night viene realizzata una forma più organica e meditata, e che è in un certo senso il tuo piccolo capolavoro all’interno del tuo contesto nuovo e pieno di fermento. In ogni modo, come avviene lo sviluppo di questo artigianato fino a questo punto? Come mai questa differenza tra questo disco e i passati lavori?

Come ho affermato prima, non ci sono sample provenienti da altri dischi in quest’album. Possiamo dire che in questo lavoro ho fatto in modo affinché tutto suonasse molto convenzionalmente (da qui, l’utilizzo di scale maggiori e una solida base armonica).

Hai presente quando l’esploratore non colto di musica, una volta esposto all’ascolto di Stockhausen, potrebbe esclamare “ TOGLI QUEL RUMORE, QUESTA NON È MUSICA!”? Bene, io volevo fare qualcosa che generasse quella reazione, ma che allo stesso tempo, con la giusta pazienza d’ascolto, potesse sembrare “musica convenzionale”.

Penso che una migliore parola per Arcanum Amarna, al posto di “sampling”, sia “editing”. Il grande Phil Spector espresse la famosa critica al singolo dei Beach Boys Good Vibrations, stigmatizzandolo in quanto esempio di “edit record”. Spector era molto dispotico, in quanto ogni volta torturava tanti musicisti nel registrare ancor più take fino a quando si otteneva quella giusta. Era come Richard Wagner, ma dal Bronx.

Arcanum Amarna è simile ad un edit record con qualcosa in più. L’editing ha un’estetica e una strumentazione diverse. Si può pensare a qualcosa di simile ad un DJ footwork(*) che esegue un sampling di Rites of Spring di Stravinsky, anche se quella tipologia di artisti compone con tanta pazienza tanta musica a mano, con editing di MIDI, per poi passare il tutto ad un quartetto d’archi del posto che registra. In seguito il suddetto DJ raffina la scrittura, ed esegue con essa una performance che registra, e successivamente pubblica l’album. Il making of di Arcanum Amarna Late At Night è qualcosa di simile tranne per quanto riguarda la parte del DJ, di Stravinsky e del quartetto d’archi.

Il tuo precedente disco, METALZ, che è stato pubblicato per GWB Corporation Nation, è un collage dadaista tra sample di musica metal e aggiunte di synth. Il risultato è una caotica e idiosincratica idea di suono, nel nome di una ironia estemporanea nei confronti della cultura metal più commerciale, nello stile di molta letteratura del web. Confermi quest’ultima mia considerazione? Come nasce e si sviluppa il tuo rapporto con il metal?

METALZ corrisponde allo stesso tempo ad una parodia e un elogio della musica metal. Durate il mio perodo da adolescente ho amato il metal, e per quanto mi riguarda quella musica ha ancora il suo perché. Soprattutto la NWOBHM (New Wave Of British Heavy Metal), che amo tantissimo. Fine anni ’70, inizio anni ’80. Quella musica ha un’energica potenza mascolina. Impressionante anche da un punto di vista tecnico.

METALZ è un album in cui il sampling su materiale estraneo è molto importante. Ho un album che devo ancora pubblicare, e su cui ero a lavoro prima di cominciare a pensare a METALZ. Il titolo non è stato ancora deciso e spero che uscirà presto. Quest’album non ancora pubblicato è basato completamente sul sampling, tecnica che, tra l’altro, ho riscoperto pochi anni fa. 

Più specificatamente ho scoperto il sampling quando avevo all’incirca dodici anni. Scaricai e installai Audacity, all’ora un eccellente programma. Credo onestamente che di questi tempi Audacity è il modo migliore e quello a più bassa qualità di registrare musica dopo i registratori a nastro più commercialmente distribuiti. Audacity è estremamente limitato e basilare. Il seguito di Arcanum Amarna potrebbe essere registrato ed editato con Audacity, vedremo.

Ricordo che prima di suonare sul serio alcuni modelli di chitarra, batteria, o di altri strumenti, creavo dei soundscape con Audacity. Ricordo che ne feci una chiamata The Voice of God, in cui erano presenti linee di basso e pattern di batteria insieme a sample dai film Network e Taxi Driver. Davvero una roba matta e malata.

È interessante che, per quanto mi riguarda, tale tecnica non proviene dall’hip hop, che sembra invece qualcosa di più ordinario da chi proviene dall’America del Nord. Nel mio caso questa iniziale scoperta deriva da due “riscoperte” del concetto di sampling. La prima consiste nei tre seguenti album: Madvillainy dei Madvillian, Soundtracks for the Blind degli Swans, e Paul’s Boutique dei Beastie Boys. La seconda è stato quando ho scoperto il concetto di cut-up di William Burroughs e Brion Gysin. Quest’ultimo diffuse l’dea che tale tecnica sia stata ispirata e soprattutto associata al collage dadaista, da cui trasse spunto. Burroughs fece anche dei cortometraggi che venivano chiamati “cut-up films”, realizzati insieme ad un tizio di nome Antony Balch, e con montaggi artefatti, davvero malati. Sono filmati con un edit Spector-esco della sua più estrema specie. Se avessi l’epilessia non vorrei guardarli.

Questo materiale mi fa sentire davvero libero di estrarre e utilizzare i sample in un determinato contesto. Alla fine capisco che tale tecnica non solo funziona ma suona in maniera fantastica e ricostruisce quella musica in maniera sorprendentemente diversa dalla fonte. Considerando Burroughs, penso che il modo in cui i sample sono usati nel mondo hip hop è più piuttosto conservatore rispetto il suo effettivo potenziale. Quest’idea è sostenuta dalle letture su Stockhausen, Xenakis e l’intera tradizione dell’elettronica nella moderna musica classica dell’Europa Occidentale.

Dopo l’epifania del metodo cut-up cominciai a lavorare a quest’album in cantiere. Il suo concept consisteva nel fatto che ogni traccia era basata su uno o più sample inclusi su un solo pezzo [non mio] o registrazione. Anche se questa regola è stata pressocché infranta, il nocciolo dell’idea rimane presente in una buona quantità di registrazioni che tuttora hanno bisogno di essere ulteriormente curate per poter poi pubblicare il disco complessivo.

METALZ deriva in parte da quest’album in cantiere. Con la stessa idea, ma in cui tutte le tracce da cui è estratto il campione sono pezzi metal della mia giovinezza. Ogni traccia [di METALZ] contiene il 99% dei sample di una traccia, ed è stato per l’appunto un lungo lavoro di remissaggio. Le tracce sono state laboriosamente remissate e completamente stravolte. Nell’ultima traccia compare una jam dal vivo chitarra più batteria scombinata e riassembleta con un remix di un classico brano metal degli ’80.

Il remix radiofonico è come una canzone pop che diventa una hit house pop, proprio come il successo degli ’80 Valerie di Steve Winwood diventa Call On Me di Eric Prydz. Questo remix era essenzialmente un pezzo di una battuta della traccia di Winwood. Era un esercizio di chirurgia e produzione originale attraverso un estremo minimalismo. Le tracce in METALZ non solo simulano questa operazione ma si espandono attraverso riff originali di synth basati su un modulo di un secondo riff in un altro sample. I campioni non hanno un beat swingante o meno dinamico ma molto spesso consistono in porzioni delle canzoni originali insane e diversificate. Qualche volta il lavoro comprendeva un cut-up intenso attraverso un lavoro di sotto-campionamento e fine riarrangiamento, dove il sample con cui si lavora alla fine è follemente scomposto e non completamente comprensibile. Spesso i sample sono in una metrica e durata completamente differrente. Inoltre la manipolazione digitale non viene trascurata.

Allo stesso modo di Bach si prende una melodia, da cui deriva una tonalità e il numero di voci, e virtualmente si applicano all’intero pezzo diverse trasformazioni della melodia data, producendo una fuga, in cui il sample subisce delle dilatazioni, compressioni, dilatazioni, cut-up, e riarrangiamenti per creare interamente un nuovo pezzo musicale. Diversamente da Bach, noi abbiamo il vantaggio di vivere in un’era digitale all’insegna dell’audio-plasticità dove possiamo facilmente creare più facilmente e in maniera analoga delle fughe con un sample. Bach aveva solo la sua memoria umana su cui poteva contare. Noi abbiamo floppy disk, penne USB, cellulari, lettori cassetta, CD, DVD, Blu-Ray, lettori MP3, Random Access Memory, Persistent Storage Memory Units come schede HD e SD, server virtuali, e chissà quali altre follie inimmaginabili. Il Dio della Tecnologia è proprio misericordioso!

Completando la tua discografia ripercorrendola a ritroso, abbiamo infine Excalibur, il tuo primo album per la GWB; una creatività rudimentale e trash, ma fulgida nel suo concept, e una palestra per il tuo artigianato sampling. Sarei quindi curioso con quali intenzioni è esordita la tua elettronica. Da dove prende le prime mosse?

Sono veramente legato ai fondatori dell’etichetta e contribuisco in circa il 98% degli album pubblicati da loro. Compaio sotto differenti pseudonimi. Molto spesso vengo creditato come bassista e qualche volta come produttore. Seif è su alcuni lavori di Ripley Devolta e gira la voce che ha avuto a che fare con le sessioni di Guan Guan Bikini Hotel di Gondola Wish, ma nel corso di questa intervista è ancora un fatto non verificato.

Sono un membro onorario della band Grey White Blue 1972, la cui discografia è su GWB Corporation Nation. Gli album di questa band hanno bisogno di allenate orecchie. Se apprezzi Excalibur, li devi assolutamente ascoltare. Il suono è più grezzo, ma in qualche modo più musicali ed espansi.

Sul tuo argomentare di Excalibur e sulla sua “creatività rudimentale e trash”, sono in completo accordo. Mi piace l’album proprio per come lo descrivi. Propriamente rudimentale. Tutto viene registrato usando GarageBand e il microfono di un MacBook del 2010. La maggior parte delle tracce dell’album sono basate su registrazioni di jam liberamente improvvisate. Per farti capire, si potrebbe dire che molto di esso è una specie di estremo e astratto no-air con una claustrofobica elettronica-noise-metal-rock-rock’n’roll.

Excalibur è stato registrato soprattutto in cantina e in un bagno piastrellato. Quando la musica è stata registrata per essere più ad alto volume, siamo andati aldilà del limite della zona rossa (di un ipotetico VU-meter, nda). A quei tempi ero molto affascinato dalla magnifica band giapponese Les Rallizes Dénudes. Molte parti di Excalibur possono essere pensate come degli sketch di alcuni pezzi dei Rallizes. Il modo in cui creano le linee di basso, rudimentalmente noise e i drumbeat energicamente rock’n’roll è qualcosa che ancora viene contemplato negli ascoltatori/curiosi/appassionati per divertimento della musica di oggi. Gli Swans facevano parte di questo processo come la no wave minimalista di New York, di cui gli Swans erano affiancatori a tale scena. Quest’ultima include roba come Glenn Branca, Theoretical Girls, Sonic Youth (soprattutto il primo EP), James Chance and the Contortions, DNA e Mars. Comunque potrei dire che la più importante influenza siano stati Alan Vega (RIP) e Martin Rev, storicamente noti per costituire insieme i Suicide.

Sono un profondo, spirituale ed entusiasta fan dei Suicide. Con “spirituale ed entusiasta” intendo che ho un legame con il gruppo, intenso e personale, in modo da capire dove la loro musica vuole andare a parare. Posso sentire il battito del mio cuore nella loro musica anche quando essa è ruvida, grave, estrema, assordante, eccessiva, priva di forma o di ritmo, e dissonante. Il loro è un minimalismo profondo, una caratteristica che raggiunge la cima della montagna del rock’n’roll solo come i Rallizes Dénudes potevano ben testimoniare. Entrambe queste oscure band possono essere associate ad un’estetica deviata. Il loro suono risulta essere brutalmente assordante, teatrale e dritto in faccia. Confrontandoli ancora, appaiono in qualche modo dei romantici senza speranza. Intensamente emotivi, profondi, sinceri ma sempre umani.

Excalibur è un album davvero intenso. Lo sento nelle mie corde ancora. Il suo processo è stato durante un mio periodo turbolento durante gli inizi dell’età adulta. È stato attraversato da un intenso percorso. Ma l’importunato quale io ero fece tutto attraverso il volume, ripetizioni assordanti, densità estrema, strumentazione rock’n’roll, noise e elettronica come sfogo post-traumatico. Un modo per prendersi cura dell’anima.

Parlando della GWB Corporation Nation, qual è il tuo legame o ruolo all’interno di essa? Più nello specifico quali sono le tue intenzioni come parte di quel roster? Arcanum Amarna Late At Night ha una fervida e barocca forma che si cela nella sua più profonda struttura. Rispetto a METALZ e Excalibur, Arcanum Amarna ha qualcosa di più lirico e matematico in un unica istanza, attraverso un perfetto gioco di plasticità. Come avviene quindi excursus tra i primi due album e Arcanum Amarna, tra GWB e Pampsychia?

La label è un’opera d’arte offerta su Bandcamp. Sulla pagina è completata con ventotto album. I miei primi due lavori hanno trovato un contesto per la sperimentazione, come hai già notato. Excalibur esplora in profondità il groove e il rumore distruttivo. È una tetra marcia funebre. Ritmi molto semplici ripetuti di continuo. METALZ è più tecnico e preciso nel suo corso. È presente anche più ironia.

In Arcanum Amarna c’è più chiarezza per quanto mi riguarda, più nello specifico armonia e contrappunto sono realizzati secondo la tradizione occidentale. Anche se tutto sommato non sono in nessun modo un esperto in materia. Semplicemente mi sono approcciato agli elementi iniziali della loro comprensione. Arcanum Amarna è il risultato di una prima comprensione naïf [della materia] per utilizzarli attraverso tutto l’album. Questo metodo di utilizzare alcune nozioni appartenenti a quel campo, amplificandole e sconvolgendole all’eccesso, con l’aiuto di un software, è il fondamento di tutti i miei album. SCULPTUR SONARIS.

Questo processo è il fil rouge che lega tutti i miei lavori. Il risultato è un’estesa varietà di lavori che suonano in maniera sempre differente. È qualcosa di matematico, ovvero una funzione che prende un’idea musicale e poi restituisce in output un album di musica.

In conclusione, puoi parlarci del tuo futuro artistico? Cosa ci dobbiamo aspettare dal tuo lavoro? Prenderanno una direzione ancora più organica e barocca? Inoltre ci saranno date in Italia o Europa?

Sul mio futuro artistico posso solo dire che mi sento per adesso slanciato su esso. Non solo sono immerso nelle creazioni musicali. Ma vorrei essere supportato maggiormente da dei sostenitori in questa avventura. Sarebbe un grande privilegio avere qualcuno che mi dicesse esattamente cosa fare. Come lavori commissionati con un compenso. Chissà… Comunque per avere un’impressione della mia arte visiva, con cui contribuisco negli artwork dei miei album, si può visitare il mio account Instagram.

Qui invece puoi trovare alcuni miei video: https://www.youtube.com/playlist?list=PLY82tpdQbuMaBw7iMXh6wfI19b25rTxSe

Ci sono molte tracce di POLONIUS in questa playlist con fantastici video fatti da un altro caro amico, Josh Scammell. Josh con Chris Love, un altro meraviglioso amico; inoltre mi esibisco con il moniker Pith and the Parenchymas. Questo progetto essenzialmente era ed è la band di Chris e hanno partecipato persone sempre diverse, ma ha una formula efficace e potente in maniera lungimirante. Raccomando tantissimo quel materiale. Tre di noi hanno registrato un album intitolato Song of the Neverending Ugly Lizard. Abbiamo suonato in molti concerti, e riprenderemo a provare spesso quando sarà possibile. Davvero un ottimo concept, un grande groove. 

Adesso ho 4-5 album di cui ho iniziato il processo creativo e avrei bisogno di finire/pubblicare. GWB e Pampsychia sono delle ottime etichette con cui spero di continuare a lavorare, anche se sono ben disposto a lavorare con altre etichette. Dalla prossima settimana o quasi, quattro album a nome Damien Marksson saranno disponibili online per la prima volta su Bandcamp. Alcuni di questi risalgono dai tempi di Excalibur, altri sono completamente nuovi. Ci saranno sicuramente momenti barocchi e organici, soprattutto in “Careless Iconoclasm”. Mi piace molto l’espressione “organico e barocco”. Mi ricorderò di questa frase.

Sono in contatto con molte persone per organizzare un mini-tour in Europa. Non ci sono date al momento, e niente è stato ancora confermato. Ho solo qualche idea sugli ipotetici concerti. Vedremo cosa emergerà.

Grazie ancora per questa intervista e tante grazie per spendere del tempo nell’ascoltare i rumori che ho diffuso recentemente.

Conversazione risalente al 29 Ottobre 2021 e in minor parte 21 Novembre 2021. 

(*) In sintesi, la footwork house è un sottogenere di musica house, con elementi hip hop, nata a Chicago verso la fine degli anni ’90. Prende le mosse dalla lo-fi ghetto house (genere locale) e dalla scena di Detroit. Inoltre i concerti dei DJ footwork hanno un’intrinseca componente del ballo o break dance. Per saperne di più: Alex McFadyen – “Something I never seen before”: Chicago, dance, and the roots of footwork (Red Bull, 2020).