Varcare l’abisso – Joris Karl Huysmans o dei pregi dell’isolamento

Varcare l’abisso.

Joris Karl Huysmans o dei pregi dell’isolamento

Ritrovarsi nel 2020 in una clausura forzata dovuta a una pandemia è un buon motivo per parlare di un libro scritto nel 1891.

Se vogliamo, i presupposti ci sono: l’isolamento – che lo si intenda dalla mediocrità della vita mondana, per intraprendere delle ricerche, o come percorso religioso – è un tema ricorrente in questo scrittore, critico d’arte, nonché dal 1902 oblato benedettino.

Joris Karl Huysmans (1848-1907), l’uomo che considerava la Torre Eiffel “di una bruttezza sconcertante”, colui che “tutto quello che rivoltava i suoi sensi eccitava il suo genio” come affermò Paul Valéry, per anni è stato quasi esclusivamente legato alla sua opera più celebre, À rebours (Controcorrente o A ritroso – 1884), definita da Mario Praz “il libro cardine del decadentismo”. “Storia di una nevrosi” – mai come in questi giorni abbiamo l’occasione per fronteggiare le nostre – narra del giovane aristocratico Jean Floressas Des Esseintes, che, nauseato dalla “atroce vita moderna, il nuovo americanismo del costume” si rifugia in una villa di campagna dove inizia una quarantena di esaltazione dei sensi a base di quel snobismo dandistico ricorrente anche in altre suoi protagonisti.

Joris-Karl Huysmans

Di recente, due eventi confermano una necessità di slegare Huysmans da un ruolo sedimentato, con l’intento di rileggerlo in maniera più ampia. Al Museo d’Orsay a Parigi si è appena chiusa la mostra “Huysmans, de Degas à Grünewald sous le regard de Francesco Vezzoli”, dove l’artista italiano contribuisce a dare dello scrittore una lettura in chiave contemporanea.

Ancora più importate, la ristampa per Lindau di  Là-bas (L’Abisso, titolo che coincide con il ritorno dei maestosi Funeral Oration, che ne costituisce un’ideale accompagnamento alla lettura), primo libro di una trilogia, nonché quello più controverso, dove troviamo un nuovo scellerato protagonista, Durtal, studioso di tematiche considerate tabù nella Francia fin de siècle, anch’egli, non riconoscendosi più nell’ambiente culturale che lo circonda per “l’immondezza delle idee… per il respingere l’ultrasensorio, il rinnegare i sogni, il non capire che l’arte comincia proprio nell’attimo in cui i sensi si rivelano insufficienti” inizia delle ricerche su Gilles de Rais, alias Barbablù, signore di varie località in Bretagna, Angiò e Poitou, capitano dell’esercito francese e compagno d’armi di Giovanna d’Arco, appassionato artista “che bandiva concorsi di bellezza sepolcrale”, passato alla storia “per il fasto delle sue orge”, e il suo coinvolgimento in pratiche occulte in cui torturò, stuprò e uccise centinaia di bambini e adolescenti.

Con l’intento di scriverne una monografia, sicuro – come noi – di “non cadere nella monomania di quei fissati per l’onestà, di quegli assetati di comportamento corretto”, Durtal narra senza freni delle gesta sfrenate di de Rais, riunendo blasfemia ed eros, cattolicesimo e satanismo, orrore e sensualità, donando al lettore repulsioni pari a quelle prodotte dalle piaghe “di quel Dio da obitorio” del Cristo di Grünewald, sfociando in uno spassoso trattato di demonologia, che l’autore ci tiene che la si intenda “esecrazione dell’impotenza, odio per la mediocrità”, oltre a offrire fantasiosi suggerimenti dell’uso che se ne può fare di un ostia.

Che dire, dopo la vicenda Jeffrey Epstein possiamo dire che ogni epoca ha il suo de Rais?

Se anche noi, in un clima culturale allo sfacelo, e un ignominioso panorama politico, facessimo nostro il suo monito “non c’è felicità possibile se non in casa propria e al di fuori del tempo!”, o quel passo di Leonardo: “E se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo”.  Se approfittassimo di questi giorni di clausura per tentare di fare un pamphlet contro noi stessi, le nostre ossessioni, affacciarci sul proprio abisso anziché dai balconi alle 18? Lasciamo che il nostro disgusto generi un divertito distacco con il quale sezionare la realtà: quando de Rais viene interrogato su chi fu a suggerirgli delitti così orrendi egli rispose “il pensiero è nato dalle mie fantasticherie, dai miei piaceri di ogni giorno, dal mio gusto per la baldoria”.

Ritratto di Gilles de Rais

Penso non ci manchi nulla. Le case dei romanzi di Huysmans sanno di muffa, di tomba, ma anche di odore clericale. Ricordandoci che per molti ci è voluta un’epidemia per scoprire che il lavaggio delle mani è un’azione quotidiana, dopo tre settimane di decreto, che odore vi circonda? Immagino molti di voi stanno approfittando nel non lavarsi, nel crogiolarsi in quel calore stantio accumulatosi da giorni. Tranquilli, Huysmans nell’Abisso, magnificando il sudiciume, suggerisce che siete sulla strada giusta, quella della santità: “Santa Cunegonda, che per umiltà trascurava il proprio corpo; santa Opportuna, che non usò mai acqua e non lavava il proprio letto che con le lacrime; santa Silvia, che non si lavò mai la faccia”.

Huysmans ci insegna come seminare in questi momenti di isolamento, per migliorare nelle nostre nevrosi, che la carne possa per una volta permettersi che si faccia a meno di essa, che si contenti dei sogni. L’operazione di Durtal nello scrivere di de Rais altro non è se non quella di tentare di spiegare – attraverso i suoi delitti –  la sua transizione, “da soldataccio a letterato e artista”.

Del resto, “tra un misticismo esasperato e un esaltato satanismo non c’è che un passo”.

 

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