Alessandro Manca, uno dei più agguerriti studiosi della Beat Generation (beat statunitense e nostrana) che io conosca, nonché promotore controculturale, penetrante performer di poesie e di stralci libreschi, e acuto ragazzo dalla corvina chioma Apache, se ne esce con Le strade bianche con questo opuscolo col quale si disvela la vita di Jack Kerouac passata a Roma per due giorni, dal 29 al 30 settembre 1966.
Kerouac – viaggio in Italia, due giorni a Roma succede all’altro lavoro, sempre di Alessandro Manca: Kerouac – viaggio in Italia, un giorno a Milano. E contiamo sul fatto, ne siamo sicuri, che entrambi precederanno il libro sull’ultima tappa di Jack sul suolo italico, cioè quella a Napoli.
Il lavoro di Manca è un vera e propria ricerca sul campo e una ricostruzione critica degli articoli dei quotidiani del tempo.
Ci porta per mano in questi due giorni romani (che inizialmente dovevano essere uno solo) e snuda cronachisticamente ma non solo, gli spostamenti e le vicende di quelle ore.
Interpolate agli articoli le impressioni di Manca sulla spesso poco “acuta” visuale del giornalismo italiano sul fenomeno, e le conversazioni coi protagonisti.
Kerouac, in Italia per la presentazione del suo romanzo Big Sur, viene quindi intercettato da diversi personaggi e giornalisti.
Gian Pieretti, il cantautore, per iniziare, che invitato dalla Pivano per aprire la presentazione di Milano, fa la stessa cosa a Roma.
Un Kerouac che pare scontroso, visivamente alterato dall’alcol, ma anche caloroso, vivamente gentile, umanissimo.
Un articolo sul Corriere della Sera di Giovanni Russo ci esplicita l’orientamento ideologico del giornalista (più che tipico) e dunque sulla volontà di svilimento della carica ribellistica che Kerouac incarnava.
D’altro avviso è James Campbell (autore, in Italia per Guanda, di “Questa è la beat generation”), che scrive: “(Kerouac) cantava scat in mezzo alla strada, voleva essere un nero, si accampava su una montagna due mesi, rinunciava a tutti i beni mondani, rinunciava alla grammatica, abbracciava la “follia zen”.
Si passa poi alla storia del Kerouac ubriaco e come “una specie di sacco buttato sul marciapiede davanti al Bar Taddei”, delle ore in cui il nostro si intrattiene a dipingere col pittore Franco Angeli, che lo raccolse dalla strada, e del loro pellegrinaggio per le gallerie d’arte di Roma. Angeli, borgataro dall’aspetto pasoliniano e cocainomane, pittore pop, dipinge in quelle ore insieme a Kerouac un’opera: la “Deposizione di Cristo”.
Segue poi il resoconto a tratti banalizzante e irridente di Arbasino su L’Espresso.
Manca ci dice su Arbasino: “Le sue parole ci mostrano quanto una persona ‘prestigiosa’ possa capire ben poco di uno scrittore e collega. (…) Il signore di Voghera, lo ‘scrittore per scrittori’, si trasforma in un giornalaio.”
Insomma, questo interessantissimo volumetto, che potete tranquillamente scaricare o trovare a 1 euro dove il vostro spirito beat sono sicuro vi potrà accompagnare, è una breve (per forza di cose) ma attenta, pregevole, e peculiare disanima, sulla lacunosa permanenza romana di Kerouac.
Lettura per tutti gli amanti della Beat Generation ma non solo: per tutti gli amanti della letteratura, dei miti, per tutti gli amanti della vita.