Re Corpulento – Necronautica V

“Circolano un sacco di storie su di me… alcune sono divertenti, altre meno, ma chi sono io per giudicare? Quella che preferisco l’ho sentita da un mio fan, un decarabiano che si era fatto amputare la mano per superare le guardie del corpo e chiedermi l’autografo… Insomma, viene questo tizio, firmo una mia xilografia su legno del Cocito, gli regalo un laccio emostatico per fermare quel sangue che gli esce a fiotti in attesa che si faccia vedere da un Aberrazionista e faccio per liquidarlo. Lui tentenna un istante e credo che sia prossimo a svenire ma in realtà sta solo prendendo coraggio… quindi mi chiede: «Ma è vero che il tuo cazzo è così grosso che hai dovuto smettere di indossare le mutande perché ogni volta che ti viene duro le rompi e ne devi buttare almeno quattro ogni giro di luna abissale? ». Scoppio a ridergli in faccia mentre i ragazzi della sicurezza lo portano fuori per mozzargli l’altra mano.”

Tratto da “Intervista al dannato John Curtis Holmes”, dell’inviato Gamiacco da Messalinopoli, Luciferovisione, Anno non pervenuto.

L’ultimo bel ricordo che ho di lei è quello di un mattino di metà settembre. La luce del sole entrava dalla finestra della camera da letto e io, avendo il viso rivolto verso di essa, mi svegliai. Erano le sei perché controllai anche l’ora e poi mi girai verso la mia donna. Quando ci eravamo addormentati ci eravamo avvinghiati, come a volerci sostenere, poi però si era spostata durante il sonno e in quel momento si trovava raggomitolata come in un’approssimativa posizione fetale. Le toccai il braccio scoperto e mi accorsi che era freddo, allora la strinsi tra le braccia e lei, con gli occhi socchiusi, borbottò qualcosa di sincero nel dormiveglia e si addormentò posando il viso sul mio petto. Ci saremmo svegliati un’ora più tardi. L’ultimo bel ricordo che ho di lei, dicevo.

Adesso non c’è nulla di più bello di una visita alla Cittadella di Lilith, la Las Vegas di Pandemonium, così come la definiscono i dannati arrivati qui dalla metà del Novecento. Coacervo di case chiuse, di grattacieli dalla disperata forma fallica, di negozi di oggettistica pseudo-sessuale, di case di produzione teratopornografiche e di set demonovisivi gestiti da attori morti di AIDS o di overdose, di bordelli dove schiavi di qualsiasi sesso e forma sono obbligati a vendere il proprio corpo agli esemplari più poveri e disgustosi della Capitale, di campi di sterminio governati dalla Divisione della Totalizzazione Onanistica, di cabine della castrazione, di cliniche di bruttezza e chi più ne ha più ne metta.

Il quartiere fu concepito dalla Stella del Mattino in persona per fare un regalo a quella puttana ingestibile di Lilith quando, non molto tempo dopo la Caduta, espresse il desiderio di una zona tutta sua dove poter fornicare, fare soldi e spartirsi una fetta di potere. Nella Cittadella è la pornocrazia a governare, non la solita e annoiata demonocrazia fatta di titoli nobiliari, di casate, questioni etniche e sangue nero più o meno puro misti a tante altre diavolerie che potete benissimo trovare un po’ dappertutto. Qui più si è troia e più si comanda, ovviamente con il benestare della padrona di casa e non sono infatti pochi gli arrampicatori sociali che si sono ritrovati a trascorrere lunghi periodi di prigionia in un’arena delle Succubi o in una cella dell’impotenza nelle profondità del Penitenziario di Priapo in via degli Acri di Pelle.

Personalmente non me la passo male e mi trovo ormai spesso a bazzicare da queste parti anche se non sono riuscito a trovare casa come desidererei. I prezzi non sono più abbordabili come una volta da quando hanno sospeso la Festa della Decimazione per incentivare le nascite degli ibridi e sovrappopolare certe aree di Pandemonium. Per questo motivo è piuttosto complicato per un dannato della media borghesia come me trovare un monolocale o perfino un infimo loculo in stile Cavalcanti; case libere quasi non se ne trovano e case vuote costano più di un intero set di organi messo in vendita sull’Infernet. Già, sono solo uno dei tanti alla fine ma, come ho detto, non me la passo male. Quando ero in vita facevo il chirurgo e allora sì che ero ricco. Ora non ha più senso, lo so, ma noi comuni dannati abbiamo ereditato questa pessima abilità nel ricordare tutto delle nostre vite precedenti.

Qualche tempo fa questo perfetto signor nessuno che sono diventato si è innamorato. L’amore tra i dannati  è raro ma ancora più raramente è duraturo, non tanto a causa del normale virtuosismo sentimentale che anche la nostra non vita ti fa prendere, quanto piuttosto per i capricci del caso infernale. Mi chiamo, cioè mi chiamavo, Aleksandr Ushakov. Vivevo e lavoravo a Brjansk e c’era Stalin al potere. Lo stesso pupazzo baffuto che adesso mostrano in demonovisione a occuparsi dell’Holodomor per conto dei diavoli del Dipartimento delle Carestie Pubbliche. Le mie giornate da vivente trascorrevano monotone tra le riunioni dei medici del partito, le battute di pesca sul fiume Desna, gli interventi nell’ospedale locale e una ragazza che non mi ero ancora vigliaccamente deciso di sposare. Quella sospensione nella quale vivevo si interruppe quando i nazisti invasero il paese nel 1941 e occuparono la mia città. Gli hitleriti mi catturarono e trascorsi anni in un campo di prigionia dove me la cavai essendo medico. Alla fine l’Unione Sovietica vinse e il compagno Stalin ci fece liberare ma dopo qualche tempo fui arrestato e interrogato. Me la cavai ma decisi che era il caso di cambiare aria quindi, grazie all’aiuto di certi amici, raggiunsi prima la Turchia, poi il Portogallo e infine andai a vivere negli Stati Uniti d’America dove ero conosciuto come Alex Doyle. Nome falso, curriculum semiserio, cittadinanza falsissima.

In cambio di questi favori fui preso a lavorare presso certi figuri della malavita ucraina di New York. Questi sapevano che ero russo ma mi presero in simpatia perché mi davo da fare come medico. Li ricucivo senza fare troppe domande ogni volta che restavano coinvolti in qualche sparatoria o in qualche rissa. Ero il medico personale di alcuni boss e venivo pagato bene. La mia identità fittizia mi permise di superare indenne l’ondata di maccartismo degli anni ’50 ma poi… ecco, si arriva sempre a quel fottuto “ma poi”.

C’era questa donna che mi ricordava terribilmente la mia ex fidanzata di Brjansk. Era la moglie di un tale Leonid che si occupava di riciclaggio e soffriva di ipocondria. Mi piaceva da morire quel paio succoso di seni che strabordava dal vestitino da casalinga con cui si presentava quando andavo a trovare il marito. All’inizio provavo per lei una forte attrazione sessuale che era perfino ricambiata dagli sguardi che mi lanciava ogni volta che capitava che rimanessi in casa da solo con lei mentre quell’imbecille di Leonid si faceva misurare la pressione; poi capii che mi stavo innamorando. Ci scrivevamo lettere d’amore di nascosto, bellissime e forse un po’ innocenti. Ero ricambiato anche in questo. Decidemmo di fuggire insieme e lasciarci alle spalle gli ucraini e i loro traffici. Lei, inoltre, voleva a tutti i costi affrancarsi dal marito che la malattia psicosomatica aveva anche reso impotente. Si chiamava Daryna.

In quel giorno di settembre di cui parlavo all’inizio ci incontrammo in un motel nel New Jersey. Facemmo l’amore fino all’alba e poi ci addormentammo come due sposi in luna di miele. A mezzogiorno due scagnozzi di Leonid fecero irruzione nella stanza e ci portarono via. Non seppi più nulla di lei fino a, diciamo, poco fa. Quanto a me, invece, fui legato mani e piedi e caricato in una Buick con destinazione ignota. Mi strangolarono dalle parti di Trenton, lasciandomi credere che mi avrebbero riportato a casa dove avrei dovuto chiedere perdono a Leonid. Dopo la morte mi tagliarono i genitali e mi li spinsero a forza nella gola. Curioso come faccia a saperlo.

Mi svegliai in una gigantesca latrina dove una specie di stronzo parlante, che seppi poi essere un Escrementale, mi annunciò candidamente di essere finito all’Inferno. Dovete sapere, ma solo per cronaca, che sono qui non perché ho desiderato banalmente la donna d’altri, cioè, probabilmente anche per quello, ma principalmente perché mi occupavo anche di mercato nero degli organi lì a New York. Ma sono solo dettagli. Alla fine macellavo personaggi di poco conto per i loro reni. All’epoca quelli andavano per la maggiore ed erano i primi organi che sulla Terra si potevano trapiantare. Dettagli, come dicevo.

Inutile dilungarsi sulle mie peregrinazioni in questo altromondo fatto di gioia sanguinosa e caos; importante è sapere che sono sopravvissuto ma tutti qui sono costretti a sopravvivere, almeno noi dannati. Diversamente da tanti derelitti che dividono con me questa esperienza infinita, mi sono fatto strada anche se conto di essere stato ammazzato e poi riconfigurato almeno una dozzina di volte. Sono stato schiavizzato prima nelle piantagioni di Latte del Tartaro e poi nella costruzione di Demonomati meccanici presso la Premiata Fabbrica Demonomatica #68924 del Quartiere Albert Fish dove, mentre azzardavo una chirurgia per fermare l’emorragia di un mio sfortunato collega che si era beccato lo schizzo di uno Spermageist in calore, uno dei guardiani mi notò e mi fece trasferire come aiutante in una delle scuole di apprendistato degli Aberrazionisti dove trascorsi anni interminabili a ripulire interiora e insegnare tecniche di sutura alle matricole. Avevo uno stipendio miserabile ma arrivai a potermi permettere di salire un po’ nel sistema delle caste che regolano la vita di Pandemonium.

Iniziai così a trascorrere il tempo libero nella Cittadella di Lilith. Iniziai a farmi conoscere nei locali e la mia lussuria nel cercare piacere carnale che mi permettesse di dimenticare la negazione della mia non-esistenza anche solo per un istante, mi permise di intavolare qualche interessante relazione anche se solo sessuale con altre donne, dannate come me; poi, però, ho visto finalmente qualcosa che non mi sarei mai aspettato.

Mi trovavo allo Spitfire Club, un locale per scambisti dove demoni minori possono provare il brivido di vivere un po’ di tempo come dannati scambiando cioè il loro ruolo di dominatori in quello di dominati. Il locale è aperto anche a quelli come noi, pagando il giusto prezzo, e chi non è costretto a rinunciare a un paio di occhi per una scopata o a qualche chilo di cartilagine, può tranquillamente pagare una quota di iscrizione senza ritrovarsi disteso su un tavolo da dissezione.  Lì ho rivisto Daryna e possa io sprofondare nel più profondo degli Inferi se non sostengo il vero. Ah già. Diciamo che lo giuro allora sulla testa ormai putrefatta della mia buona babushka.

Era lì, sul palco. Un Corpulento le palpava il culo tatuato mentre, vestita da dominatrice in un costoso completo in vera pelle del marchio Ed Gein, frustava con un cerbero a tre teste di cazzo e nove paia di palle il fallo flaccido di un Fragilificatore in libera uscita. Il disgraziato emetteva zolfo dalle narici mentre la versione dannata di Daryna iniziava a strizzargli il doppio paio di capezzoli che aveva sul petto. In tutto ciò mi ero avvicinato parecchio al palco e il suo magnaccia, quello che la palpava con quegli arti cascanti tutto grasso e niente muscolo, se ne accorse e rivolto a me cominciò a sibilare.
“Rimani al tuo posto inutile testa di cazzo!” disse.
Daryna si voltò un attimo e parve riconoscermi ma non si scompose e continuò il suo turpe lavoro procedendo a inzaccherare la faccia scomposta del Fragilificatore con interiora di Pesce Mucoide che prendeva a grandi mani da un secchio lì vicino. Il demone sorrideva tirando fuori la lingua biforcuta che prontamente Daryna stuzzicava con le sue lunghe unghie ricostruite.
“Ti ho detto di stare indietro verme!” urlò ancora il Corpulento sputando una massa di colesterolo dalle labbra e agitando maniacalmente un manganello.
Un buttafuori, un Centauro a Sei Zampe con il simbolo dell’occhio della provvidenza tatuato sul collo muscoloso, iniziò ad avvicinarsi minaccioso. Alla fine mi fece in disparte pronto a cogliere il momento opportuno.  Fu il momento a trovare me.
Mentre ero al bancone a trangugiare l’ennesimo cocktail di Locusta Fermentata nel Midollo di Dannato, il barista iniziò a puntare una figura alle mie spalle sghignazzando qualcosa che non recepii a proposito di profilattici ritardanti con l’Amanita nigra. Mi voltai e la vidi.
“Alex”
“Daryna”
Non dicemmo nulla per un po’ mentre il barista continuava a sganasciarsi e si metteva gli artigli sulla patta dei pantaloni simulando una sega.
“Da quanto tempo?”
“Troppo, Daryna, troppo… quasi un’eternità” risposi io poggiando il drink consumato a metà sul banco con il barista che adesso, non trovando di meglio oltre allo sfottermi, aveva infilato il cazzo macilento in uno shaker e se lo scopava non resistendo alla tentazione di segarsi.
“Vieni con me. Parliamo in un posto più tranquillo”
Mi portò in quello che doveva essere il suo camerino e mi pregò di parlare piano perché il suo pappone, quella massa di lardo e di negazione di Dio che la accompagnava sul palco, era nei paraggi. Mi raccontò la sua storia e io le raccontai la mia. Dopo essere stata ricondotta con la forza da Leonid era stata stuprata dai suoi sottoposti, ripudiata come moglie e allontanata con venti dollari che l’ex marito le aveva infilato in bocca come gesto umiliante. Aveva vissuto ai margini della società per qualche tempo, non potendo chiedere aiuto a nessuno e dandosi alla prostituzione. Alla fine si era procurata una pistola in un banco dei pegni e l’aveva usata prima su Leonid e le sue guardie del corpo e, infine, su se stessa. Di me non aveva saputo più nulla ma immaginava che mi avessero ucciso.
“Ti ricordi quando abbiamo fatto l’amore lì nel motel? Ti ricordi quando ci siamo addormentati abbracciati e all’alba ti ho svegliata per caso e mi avevi detto qualcosa per poi riaddormentarti?” le chiesi senza bisogno di sapere altro da lei.
“Ti dissi ti amo”
“Già. Ti amo pure io. Quella volta non ti risposi, te lo dico adesso” scoppiammo a piangere entrambi e ci baciammo. Bussarono alla porta.
“Che cazzo stai facendo?” urlò il bastardo che avevo iniziato a pensare di uccidere.
“Nulla mio padrone, mi sto preparando per il prossimo incontro” rispose Daryna con voce tremante mentre si asciugava le lacrime. Il Corpulento entrò lo stesso nella stanza.
“Tu adesso mi spieghi che cazzo ci fai qui dentro con lei, altrimenti ti mando a leccare le vagine delle Puttane della Congrega di Babilonia per l’eternità” e senza che potessi rispondergli allungò uno dei suoi arti molli e mi scaraventò fuori.

Sentivo Daryna urlare mentre il Centauro a Sei Zampe di prima mi lanciava nel vicolo tra l’ilarità dei presenti e quella del barista che era uscito per fumarsi una Cancerogena Filtro Zero.
“Non farti più vedere” nitrì il buttafuori cercando con gli occhi equini l’approvazione degli astanti che se la ridevano di brutto nel guardarmi crollato in mezzo alla spazzatura. Rimasi fermo in quella posizione per un po’, con gli occhi alla porta che nel frattempo era stata richiusa. Visto che non c’era altro da fare, i presenti mi ignorarono e il barista rientrò nello Spitfire gettandomi addosso la cicca ormai spenta. Una figura di bassa statura mi si avvicinò. Era un anziano dannato vestito con un abito da pagliaccio del circo.
“Stai bene fratello?” mi disse con la bocca sdentata di chi è stato pestato più volte.
“Sto bene, grazie” risposi rialzandomi.
“Serve qualcosa fratello? Qualcosa per rimetterti in piedi? Qualcosa per il cazzo? Ho tutto quello che ti serve nel mio negozio dietro l’angolo” continuava a dire quello. Era un indù.
“Ho bisogno di qualcosa che possa uccidere un Corpulento”.

Risultò che il demone che aveva comprato Daryna non era un magnaccia qualsiasi ma un personaggio noto nell’ambiente della Cittadella di Lilith come Re Corpulento. Si trattava di una massa adiposa e disossata nata dalla fantasia degli Aberrazionisti per dotare la categoria dei Corpulenti con una quantità maggiore di colesterolo e trigliceridi onde poterne utilizzare il grasso in eccesso come fonte energetica e materiale di consumo. Re Corpulento era il primo di questi prototipi ma il Dipartimento del Dispendio Energetico di Pandemonium aveva decretato che la loro produzione era troppo onerosa, quindi il progetto fu abbandonato e i prototipi esistenti messi in libertà. Il Re era diventato famoso come il più lascivo e narcisista degli esemplari della sua specie e diventò anche famoso per aver divorato e defecato tutte le sue amanti. Coinvolto, come spesso accade, in un giro di teratopornografia, aveva avuto successo ed era diventato il direttore dello Spitfire Club dopo aver letteralmente ingoiato il precedente titolare.

Tecnicamente non è possibile uccidere un demone ma dovete sapere che all’Inferno, quando ci si trova a che fare con demoni minori, quindi con individui che non hanno né origini angeliche né origini che potremmo definire “naturalmente” infernali, la cosa è fattibile utilizzando una qualsiasi arma. Possono morire, insomma, come le persone sulla Terra. Il problema è che ai dannati è negato il possesso di qualsivoglia oggetto in grado di danneggiare un demone, maggiore o minore che sia, tranne che per motivi di lavoro o in caso di ordine diretto da parte di un’autorità; così recita l’articolo di legge vattelapesca. La pena, in caso di violazione, prevede di diventare materiale da costruzione per l’eternità.

L’indù non si rivelò utile in alcun modo. Aveva conoscenze ma di sicuro inferiori rispetto alle mie e, temendo potesse denunciarmi, lo mandai a quel paese facendogli credere che i miei erano deliri da buon dannato russo ubriaco. Mi rivolsi a un dannato piuttosto famoso e al tempo stesso affidabile di cui non farò mai il nome ma che mi aiutò in passato e che avevo avuto la fortuna di conoscere mentre era ricoverato in ospedale a Brjansk durante la seconda guerra mondiale quando ero ancora in vita, prima che mi imprigionassero i tedeschi. Diciamo che certi fucili d’assalto che si usano ancora sulla Terra portano il suo nome.

Eccomi qui, insomma. All’uscita dello Spitfire Club con un improbabile cappotto di lana di Fecaloma che mi serve per nascondere il preziosissimo AK-74 artigianale con cui sfracellerò Re Corpulento. Il piano è semplice e si giocherà tutto sull’effetto sorpresa in quanto nemmeno la mia cara Daryna conosce le mie intenzioni ma mi è bastato scambiare quelle poche parole con lei per capire che, a costo di finire trasformato in un mattone di carne, il mio scopo è quello di liberarla e prenderla con me. Magari poi ce ne andremo a vivere fuori dalla Capitale visto che a Pandemonium tirerà una brutta aria e ci cercheranno. Potremmo raggiungere qualche piantagione di schiavi nella Regione Meridionale oppure andare a nasconderci nei territori selvaggi della Grande Desolazione. Il nostro avvenire è segnato dal successo.

La mia idea è quella di aspettare l’uscita della coppia dal locale. Ho scoperto la vettura del grassone che non poteva non avere un modello di demonobile fuori misura in grado di trasportare il suo culo. Daryna è tenuta nella villa di Re Corpulento ed è sempre costretta a seguirlo, almeno fino a quando il demone non si stancherà di lei e sceglierà un nuovo giocattolo per i suoi clienti, ma non posso attendere. La mia missione è chiara. Io sono determinato. Sono pur sempre un uomo e sono deciso a mantenere la mia superiorità su queste creature del cazzo che Dio ha creato nei suoi momenti di noia. Nemmeno l’Altissimo potrà punirmi perché sono già all’Inferno e nemmeno il Bassissimo potrà farlo perché ci renderemo irreperibili e il suo Terzo Occhio non si poserà mai su di noi. Lo giuro su tutto ciò che mi è più chiaro. Lo giuro su Daryna, la donna della mia vita e della mia non-vita.

Sono nascosto nel buio del parcheggio senza attirare l’attenzione di una coppia di Asimmetrali che vomitano all’unisono in preda ai fumi di chissà qualche bevanda del cazzo. I due finalmente si allontanano barcollando e rimango da solo. Passa un giro di luna abissale e non arriva nessuno tranne un macilento dannato che trascina la propria carcassa a bordo di un carretto di legno. Mi passa accanto senza guardarmi e mi accorgo che non può farlo perché non ha più i bulbi oculari per vedermi. Chiede a gran voce elemosina ma scompare dietro l’angolo proprio mentre la porta posteriore del Club si apre e adesso vedo Daryna che procede, al guinzaglio, alle spalle di un corpo più o meno informe che ciondolando raggiunge la macchina. Non posso sbagliare.
“Tu” dico avvicinandomi con passo svelto e tirando fuori l’arma.
“Tu, grandissimo…” sta per dire Re Corpulento.
Lo mitraglio con una scarica di colpi che in buona misura finiscono attutiti dalla sua massa grassa ma che, dopo una seconda scarica, fanno il loro lavoro.
L’amorfo cade a terra sfrigolando ma tenendo ancora la mano serrata sul guinzaglio che tiene legata Daryna. Una terza e ultima scarica di proiettili artigianali la tagliano in due all’altezza di quello che dovrebbe essere il polso.
La mia donna è confusa ma realizza subito chi sono.
“Amore, Alex… Aleksandr… sei venuto a prendermi…” e singhiozza dalla contentezza avvinghiandosi a me come quella volta in cui andava tutto bene.

Mi godo l’epifania di quel momento. Vorrei che il suo abbraccio non finisca mai. Vorrei che tutto si congeli in quell’istante, che dimenticassimo la nostra condizione di dannati e che sia l’intero Inferno a congelarsi intorno a noi.
“Sono qui. Sono qui per te. Adesso andremo via” le sussurro.
“Moya lyubov…” mi dice in ucraino.
E mentre raggiungiamo la macchina del suo padrone di cui ormai saranno i Vermi Latrinosi a occuparsi, mentre entro nell’auto sorridendo perché il nostro futuro insieme finalmente è un’eterna realtà dalla quale non sarà un Leonid a svegliarmi, mentre tutto sembra scomparire, succede qualcosa di improvviso e brutale.

“Alekxandr!” urla Daryna che non è ancora entrata in macchina con me. Esco.
La vedo. Non è sola. Re Corpulento, viscido e inaspettato come l’antagonista in un film dell’orrore da drive-in americano, è sempre abbattuto, ma non è morto del tutto. Le sue fauci sono serrate sulle gambe di Daryna che giace a terra immobilizzata. Sta cercando di ingoiarla come farebbe un serpente. La sua mandibola si è perfino lussata nello sforzo di fagocitarla e dai suoi piccoli occhi neri, sepolti dalle palpebre colme di xantelasmi, sgorgano lacrime acide.
“Quand’è che muori?” gli grido lanciandomi sulla sua testa calva con il calcio del fucile.
Lo colpisco più volte fino a farne una massa ancora più informe di quella che era in origine. Alla fine sento uno strappo. Un rumore come di grosse forbici quando tagliano una risma di carta con un solo colpo. La presa è allentata e Daryna riesce a trascinarsi via. Senza gambe.
Dal ginocchio in giù non c’è nulla. Sono immobilizzato dal terrore e dalla rabbia.
Maledico il nome di Dio nella mia lingua.
Daryna mi guarda e sembra sorridere ma la sua è solo una smorfia di dolore mentre con le mani cerca di allontanarsi dalle fauci ormai spente di Re Corpulento.
Maledico il nome di Lucifero nella mia lingua. Lo sento ridere nella mia testa.
Daryna mi guarda e sembra sorridere ma è quella smorfia di dolore che le è rimasta impressa sul volto pietrificato dalla nuova morte.
I dannati non possono mai morire per davvero all’Inferno. Una regola che non può essere modificabile nemmeno dagli artifici più audaci dell’Occultomanzia. Ma Daryna non sarà più la stessa.
La raccolgo come si raccoglie la spiga di grano più preziosa della messe. Così leggera e così diversa adesso che la porto in macchina in una scia di sangue che chissà quanto dovrò lavorare per arrestare. La amo. La amo ancora. La amerò sempre.

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