Saturno Buttò: Breviarium Humanae Redemptionis

Appunti per una buona clausura: il martirio della carne

“La religione cristiana sostiene che l’uomo nasce impuro e con la libertà di compiere il male. E forse è così.

Il “desiderio” e, di conseguenza, il possibile “peccato” sono comportamenti naturali, normali nel corso di un’esistenza. Ma capacità dell’essere umano è il “pentimento” e, a questo proposito, esiste il “perdono”, una prerogativa della religione cristiana.

Credo sia questa la chiave di lettura del mio lavoro: “dipingere l’essere umano che affonda per metà nelle viscere della terra e per l’altra si innalza” […]. In un continuo rincorrersi tra peccato e redenzione. [1]

 

2013, IHS, olio su tavola cm 150×102

La figura umana, con il suo fardello di ossa, carne e fluidi corporali è senza dubbio il fulcro dell’opera di Saturno Buttò.

La sua particolare visione pittorica, evocativa e potente, esprime la condizione umana inquadrandola nella sua essenza primordiale: un perenne stato di insoddisfazione in perpetua ricerca di trascendenza dei limiti.

Osservare per la prima volta un’opera di Saturno Buttò – se siamo fortunati “dal vivo”, ma in questo periodo sarà molto più probabile essere di fronte a una delle tante immagini che si trovano sul web – significa, in prima istanza, essere affascinati dall’assoluta perfezione formale della messa in scena pittorica.

L’enorme capacità stilistica, espressa attraverso l’esercizio sapiente di una tecnica al limite dell’Iperrealismo, porta il dipinto a essere assai vicino alla resa fotografica.

In seguito, arriva dritto al nostro cervello lo spiazzante “anacronismo” di tutta la sua produzione artistica: l’imponenza della costruzione scenica, fortemente ispirata ai tecnicismi dei maestri del passato, è coadiuvata e sorretta da una “sceneggiatura” plastica assai contemporanea, al fine di enfatizzare ancora di più il contrasto concettuale.

Sospesi senza rete di salvataggio su di un ideale filo da equilibrista, sorretto da un capo dall’Assunta di Tiziano – con la sua ieraticità iconografica – e dall’altro dall’esperienza della body art di Gina Pane, siamo chiamati ad assistere alla glorificazione della figura umana.

L’essere umano, intimamente legato e regolato dalle leggi della Natura nelle sue funzioni vitali, trova nella carne un ostacolo e un fardello per poter accedere a un livello superiore di conoscenza. Tale visione, figlia dell’ampia diffusione di tanta tradizione cattolica successivamente impiantata sui resti del platonismo, prevede appunto la trascendenza di tali limitazioni attraverso il martirio delle carni, unico tramite possibile per elevarsi a uno stato sublime di esaltazione sensoriale.

La messa in scena di questo corpo intento a liberarsi del proprio peso, in corsa versa la gloria celeste, rimanda  implicitamente alla tradizione pittorica medievale, dove il martire non  è mai rappresentato imbruttito o sofferente – privilegio che spetterà invece all’effigie del Cristo, sublimato e congelato nell’attimo di maggiore sofferenza sacrificale – ma al contrario viene colto nell’atto di mettersi in mostra, ostentando serafica serenità mentre immola la sua carne da redimere, preludio terreno della gloria eterna.

Come estremo paladino della Fede, il martire porta al credente, impresso nella serenità dei suoi lineamenti, un forte messaggio di emulazione. Offrire il proprio sangue – e per esteso, la vita – in olocausto al Signore, è il viatico per arrivare alla Beatitudine celeste.

2009, Caelum Meretur Vulnerum Crudelitas I e II, olio su tavola cm 110×110

Il corpo lacerato, punito e costretto in pose innaturali diventa stilema e parte integrante del messaggio catartico, coadiuvato nella sua trasmissione di significato dalla teatralità del gesto, proprio come avviene nelle performance di body art.

Il sangue, identificato e sostituito in alcuni dipinti dalla rappresentazione transustanziale del vino (tu ci hai redenti, o Signore, con il tuo Sangue [2] ), è fluido vitale che viene offerto in dono per suggellare una nuova alleanza tra i corpi. In questi casi, perfino i colori principali dell’opera e l’uso dell’illuminazione dei soggetti sono caratterizzati da un profondo rimando ematico.

2019, Pregnant sommelier, serie di 4 tavole a olio 70×70

L’essenza del racconto è sempre il Corpo, soprattutto femminile e non necessariamente nudo, pronto a “coinvolgere” e stupire, nel bene e nel Male.

Non a caso, nella nostra cultura occidentale la rappresentazione dell’immagine divina passa attraverso le sembianze umane e, di conseguenza, l’uomo religioso intende sé stesso come incarnazione del divino.

La figura femminile assume le caratteristiche del medium per meglio emulare il messaggio del Santo. Il corpo offerto e trasfigurato nella comunione estatica diviene salvifica reliquia.[3]

Le debolezze umane e le restrizioni alla libertà sessuale imposte dalla rigida osservanza della religione cattolica diventano quindi una sorta di filtro attraverso il quale è possibile relazionarsi con l’Altro; fisico e spirituale si uniscono per dare vita all’Erotico. Parafrasando le parole di Bataille: l’uomo non può dominare ciò che lo spaventa, ma prova ad affrontarlo e superarlo, sfuggendo così all’ignoranza di sé stesso[4].

L’Erotico rappresenta perciò un superamento del Sé da attuarsi attraverso strategie chimico-organiche per giungere infine alla propria intima Verità.

In questo immaginario, dove la figura femminile è fortemente iconica, il Maschio diviene un ideale contrappunto scenico portando nel dipinto un diverso tipo di bellezza non idealizzata e spinta verso il grottesco.

Rotondità e difformità non sono più da intendersi come difetti da nascondere o stigma di corruzione morale, ma vengono esibite con orgoglio ferino nelle frequenti raffigurazioni ctonie di maternità. Rito e Magia si fondono, mettendo in atto un circolo vizioso e cannibalico di nascita e morte.

Il messaggio portato dal Santo/Martire si rafforza nella rappresentazione del rituale del cibo, altro elemento fondante della nostra evoluzione umana e culturale.

Madri/Dee, la cui vita viene prolungata artificialmente per garantire “un pasto” al Maschio/Figlio, si offrono in dono eucaristico al termine di un’estasi mistico/cannibalica.

L’esaltazione del martire assume ancor di più i tratti del rapporto fetish: si parte dalla costrizione e dal dolore per arrivare a raggiungere l’orgasmo estatico in comunione con il Divino.

2011, Ctonia nutre i suoi figli

 

Corpo e Metallo: la nuova carne

 L’indagine sulla trascendenza dei limiti corporei si sposta a un certo punto dalla ricerca di elevazione spirituale al suo opposto. Compaiono nei dipinti i ferri chirurgici e le sale operatorie.

Assenza di calore e di contatto sono i nuovi canoni.

La nuova carne, resa inattuabile la strada dell’innalzamento spirituale attraverso la trasfigurazione erotico-mistica, volge il suo sguardo alla fusione col metallo e alla modificazione chirurgica.

Una continua degradazione fisica in cerca di uno spiraglio per uscire dal bozzolo/prigione della condizione di Natura.

Modificazioni e ibridazioni con corpi estranei, più o meno profonde, sono coadiuvate dal massiccio uso di maschere e costumi che alterano l’aspetto primigenio del corpo, divenuto specchio obsoleto e non veritiero dell’immagine divina.

Il martirio erotico è sostituito da quello chirurgico.

2020, Surgical Decoration, olio su tavola cm 60×60

Il corpo, in cerca di forme alternative di glorificazione, assume l’aspetto e le caratteristiche del feticcio.

“Una figura bardata da maschere che ne celino il volto, rafforza il concetto di idolo ctonio. Un corpo pronto per essere “amato-studiato-violato”, magari con l’ausilio di strumenti chirurgici, che associo all’apollineo, l’energia concettuale che vorrebbe appropriarsi del mistero dionisiaco, profanandolo, appunto, nella ritualistica messa in scena sadomasochistica”.[5]

 

2011, Body piercing-Verena, olio su tavola 70×70

 Cambia quindi il medium da interpellare per trascendere i limiti della fisicità corporea.

Le donne, abbandonata la spiritualità erotica come mezzo di elevazione spirituale, si rivolgono al chirurgo per essere trasformate in nuove divinità da adorare, illuminate dalla luce fredda ed asettica della sala operatoria.

Dai dipinti scompaiono i toni caldi del sangue e del vino sostituiti dai freddi bagliori dell’acciaio e dai lampi alogeni degli schermi digitali.

2010, L’orchidea dell’anatomopatologo, olio su tavola 100×70

Il nuovo corpo femminile trascende in toto la sua naturale funzione riproduttiva e sociale.

Le rotondità materne degli idoli ctoni vengono surrogate da immagini di donne magre e solitarie. Abbagliate dalle luci al neon, non più interessate all’unione orgiastica e sensuale, amputano ogni legame col Ciclo della Natura.

La fredda sessualità che si origina all’interno della sala operatoria è emancipata dal contatto trai corpi. Diventa autoerotica e sterile.

Lo schermo digitale riempie il posto lasciato vuoto dai corpi che si toccano e compenetrano.

Il raggiungimento del piacere diventa quasi una furtiva necessità alla quale sopperire in una solitudine tristemente profetica.

Note:

[1] Saturno Buttò, Breviarium Humanae Redemptionis.Opera 2007-2014, Padova, Centrooffset Master, 2014

[2] Sal. 102, 1-2. 3-4. 6-7. 8-

[3][…] si veda per esempio il caso delle estasi mistiche di alcuni santi, nelle quali non è cosi chiaro se a prevalere sia una condizione spirituale oppure sessuale.” Saturno Buttò, Breviarium Humanae Redemptionis.Opera 2007-2014, Padova, Centrooffset Master, 2014 p.120

[4] G.Bataille, L’erotismo, Milano,SE, 2017

[5] Saturno Buttò, Breviarium Humanae Redemptionis.Opera 2007-2014, Padova, Centrooffset Master, 2014

 

 

 

 

 

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