Ultra sonno, di Armando Genco

Qualche giorno fa, stavo discutendo delle ultime uscite musicali con un mio carissimo amico. E già qui, mi direte, cosa c’entra la musica con un fumetto?
Abbiate fede, ora ci arriviamo…
Il discorso stava prendendo quella piega un po’ retrò, nostalgica e da sfigati, del tipo: “ai nostri tempi sì che facevano roba buona” oppure “noi sì che eravamo veri alternativi” e via discorrendo…Sarà capitata a tanti di voi una discussione con questi toni, immagino.
Poi, lui se ne è uscito con la sua tipica frase illuminante, in grado di riassumere il discorso fatto e di stroncarne ogni futura evoluzione: “Oggi, in giro c’è troppa plastica e poco sangue!”
Discorso chiuso. Colpito e affondato!
Il problema è proprio questo. E non solo nella musica.
Negli ultimi tempi, l’attenzione e la cura necessari alla realizzazione di un prodotto artistico e personale, si sono rivolti sempre più spesso alla cura dell’involucro esteriore, alla ricerca di un prodotto facile, preconfezionato, standardizzato e alla portata di tutti; immediato da comprendere ma soprattutto da vendere. Oggetto replicabile e desiderabile sotto ogni aspetto.
In questo processo di abbellimento plastico, i contenuti, passano inevitabilmente in secondo (talvolta anche terzo o quarto!) piano. Il sangue si è annacquato diventando una bibita cool da scaffale di supermercato.
In  Ultra sonno di Armando Genco invece, il sangue c’è. E tanto.
Questo volume è per me un piccolo gioiello della letteratura a fumetti contemporanea, una rivelazione inaspettata e alquanto gradita.

Detto questo, lasciamo stare definitivamente la musica e torniamo alla letteratura per immagini.
Innanzitutto, lode al coraggio della casa editrice umbra Pièdimosca, per aver reso possibile la pubblicazione di questo volume audace, denso, lacerante e disturbante. Fogli inchiostrati, tenuti insieme dalla disperazione del protagonista della vicenda narrata, un non meglio specificato David.
Il nome di questo conglomerato di multipli disagi ci viene rivelato quasi per caso, da un mostro oscuro a forma di drago, rigurgitato dopo un pasto frettoloso a base di junk food.
Verità e immaginazione (o delirio) si confondono spesso in questo romanzo grafico, alla ricerca disperata di un appiglio in grado di ancorare alla realtà una mente in costante confusione.
David, come presenza umana, mi è sembrato soltanto un pretesto narrativo per innescare la narrazione, una convenzione usata per meglio definire e dipanare i fatti. Tutta l’opera è in realtà una sorta di diario per interposta persona.
Di fatto, il protagonista potrebbe tranquillamente fare a meno di avere un nome: David è un contenitore umano fatto di sangue, ossa e dolore ed è ossessionato dagli incubi, dalle medicine e dalla necessità costante di disegnare.
In poche parole, è vittima di una forte depressione che lo obbliga a fare i conti con i suoi pensieri e con il suo corpo, non sempre perfettamente allineati.
E cerca di farlo con ogni mezzo a sua disposizione.

Le medicine gli sono sempre più necessarie, come il nome che lo identifica e lo rende reale: un essere umano tangibile, presente nella realtà fisica e spaziale definita dallo sguardo dell’Altro, ma sperduto e impaurito nelle pieghe del suo disagio mentale.
Il nome di questo personaggio, come dicevo poc’anzi, è soltanto un dettaglio inserito nella narrazione giusto per celare, a uno sguardo disattento, la vera protagonista di tutta questa storia: la malattia mentale.
Disagio paralizzante e alienante che può colpire chiunque, in ogni istante e senza preavviso, congelando il malcapitato in un eterno presente di infelicità impossibile da riscattare.
Ogni gesto di ribellione diventa così inutile, schiacciato da un potere troppo più forte della propria volontà; ogni sguardo rivolto al futuro è orbo e privo di soggetto, qualsiasi speranza in un futuro migliore, è preclusa al depresso.
Sopravvivono in lui soltanto i ricordi di un passato mitizzato e oramai irraggiungibile. I sentimenti positivi continuano a esistere soltanto nelle pieghe più oscure della memoria, spodestati e resi obsoleti dal nuovo Regime che governa la mente. La depressione è uno stato dittatoriale che non ammette ribellione.
Riuscire a rendere su carta le sensazioni di questo disagio, altrimenti inesprimibile, è la vera potenza della narrazione di Ultrasonno.
In una delle tavole più belle e drammatiche di tutta l’opera, l’involucro umano chiamato David (dal volto paurosamente simile a quello riflesso ogni mattina nello specchio del mio bagno), ci confessa di essere figlio di tre madri: ansia, paura e angoscia.
Poesia pura. Da brividi.

Dal punto di vista grafico, questa deriva ondivaga della mente del protagonista/malato viene resa attraverso il sapiente utilizzo di una commistione di stili, tessuti insieme per realizzare un fragile collage frammentario e onirico in grado di catapultare fin dalle prime pagine il lettore nel mondo del disagio mentale, senza abusare di falsa retorica o spicciole considerazioni sulle condizioni di una mente “insana”.
Alla fine, la ricompensa per questa costante e faticosa tensione verso ogni debole raggio di sole al quale aggrapparsi per abbandonare, anche solo per un istante, il buio denso e colloso della malattia è comunque la sconfitta. Una frustrante via crucis ineluttabilmente destinata al fallimento.
I colori, quando sono presenti, travolgono il lettore come inaspettate esplosioni di luce. Bagliori intensi ed inaspettati, come sono gli attimi di gioia euforica che vive il depresso: piccoli sprazzi di luce interiore in un mondo governato delle tenebre e dall’immobilità, ai quali aggrapparsi in maniera tenace con la speranza di non soccombere in maniera definitiva.

David, avvolto suo malgrado in una spirale discendente verso la follia, cerca la sua strada per riappropriarsi pian piano dell’esistenza e delle sue sensazioni, costantemente falsate dalle medicine. E lo fa nell’unico modo possibile per lui: disegnando.
Ultra sonno è un diario per immagini che contiene tutti i sogni, i ricordi e le speranze rubate alla tranquillità del vissuto quotidiano, alla costante ricerca di una semplice routine in grado di assorbire tutta l’angoscia.
Oggetti privi di significato e di semplice uso comune diventano ritratti a tutta pagina, realizzati con una impressionante sovrabbondanza di dettagli, come a sottolineare ancora una volta la necessità del depresso di un appiglio qualsiasi in grado di mantenerlo connesso fisicamente e mentalmente alla realtà.
Armando Genco, nonostante la giovane età, nella realizzazione di questo volume dimostra di essere già in grado di padroneggiare al meglio tutte le tecniche grafiche e gli espedienti narrativi che gli hanno permesso di portare alla luce un’opera matura e difficile come questa.
Tutto questo, unito al gradimento che ho tratto dalla lettura di Ultra sonno, mi fa ben sperare nel futuro e nella sua prossima opera!
Chissà, magari un giorno riuscirò pure a fargli un’intervista…

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