A martellate

Atterra nella neve con un tonfo smorzato. Si puntella sulle ginocchia infradiciandosi i jeans e infila un braccio fra le sbarre del cancello che ha appena scavalcato per tirare a sé il martello pesante. Il ferro battuto è coperto di brina e le lascia una spolverata di gelo sul cappotto. Yara stringe il martello nella mano arrossata dal freddo e si rialza.
Dalla chiesa poco distante riecheggiano lugubri e monocordi i canti gregoriani. Scuri e corposi si alzano dalle pareti dure dell’abbazia e brontolano nell’aria tagliente, troppo gravi per perdersi nel cielo gravido di nuvole nere. Sono un lungo lamento corale che vibra nel cristallo di quella sera d’inverno.
Yara alza il viso screpolato alle stelle di un firmamento che non si vede. Sa di non avere molto tempo, eppure non ha alcuna intenzione di affrettarsi. Un vento dalla dolcezza di un rasoio a due lame sibila argenteo fra i cipressi il cui verde cupo sbircia sotto brandelli di neve candida. Yara si sforza di non rabbrividire sotto al cappotto.
Gaudete in Domino semper…
I lumini a batterie baluginano incerti fra le corolle nere di polvere dei fiori finti. Yara si asciuga il naso umido con la manica del cappotto e vede il suo respiro condensarsi nell’aria.
Le lapidi la fissano con i loro volti di marmo duro.
Iterum dico gaudete…
Yara si incammina sul viottolo gelato. Il rumore che fa la neve sotto gli scarponi è quello del ghiaccio che si frantuma sotto i denti. Del custode non c’è nemmeno l’ombra. C’è solo lei. Lei e il ricordo congelato di migliaia di morti, lei e le gole serrate di migliaia di salme. Yara striscia il martello fra le ali di pietra degli angeli e i volti gelati di mille, sofferenti Gesù Cristo. Una Madonna dagli occhi vuoti le tende le braccia bianche in una cascata di pieghe marmoree.
Modestia vestra nota sit omnibus hominibus…
Oltre le mura del cimitero spuntano i monconi dei rami spezzati degli alberi. La pietra scura e corrosa delle croci affoga in un doloroso, purissimo bianco.
I morti non lasciano impronte sulla neve.
Yara sorpassa le guglie aguzze delle cripte famigliari e raggiunge il lato opposto del campo santo. Il suo volto livido e senza espressione si riflette nelle facce sbiadite e vacue intrappolate nei colombari. I petali dei fiori marciti giacciono sui mattoni ghiacciati. Non si sente più le dita e una striscia di muco traslucido le solletica le labbra spaccate dal freddo.
Chiude gli occhi.
Dominus enim proper est…
I sistri del vento le affettano gli zigomi. Dalla chiesa i canti continuano a rimbombare. Rafforza la stretta sul manico del martello e tende i muscoli. Riapre gli occhi ed è un attimo.
Nihil solliciti sitis…
I canti si uniscono al fracasso del martello che si abbatte sul marmo. Mille schegge di pietra grandinano nella neve. Yara deglutisce e un sorriso sboccia fra le pellicine della sua bocca graffiata.
Porta giù il celeste e fallo rotolare nel fango.
Flette il bicipite e scaraventa di nuovo il martello contro i colombari. I vetri esplodono, le fotografie di gente ignara della propria morte si bagnano nella neve, un’aria umida spira dai buchi frastagliati nella parete.
Sed in omni oratione…
Yara reprime il solletico di una risata mentre fracassa la prima lapide. La pietra si infrange e il nome di un perfetto sconosciuto si spacca a metà.
Distruggi l’Assoluto, questo è il banchetto degli accidenti.
La testa pesante del martello danza con rosseggiante eleganza fra le pietre sepolcrali. Il marmo si disintegra, il porfido si sbriciola, i fiori vengono sepolti da cocci di pietra rotta. La testa di un angelo prostrato dal dolore schizza nell’aria tagliente e una scheggia di porcellana graffia la guancia di Yara. Il sangue gocciola caldo e scarlatto sulla neve calpestata.
Petitiones vestrae innotescant apud Deum…
Il cuore di Yara palpita con la stessa violenza dei suoi colpi. Il fiato rauco e spezzato. Si muove fra le rovine e distrugge l’offerta di un tiepido abbraccio di una Madonna dopo l’altra. Un feroce furore le monta dentro.
Vendichiamoci di quel Dio che non ha fatto che vendicarsi di noi.
Yara vortica al centro del cimitero. Deflagrazioni di granito, lunghe crepe nelle steli, croci di legno smembrate. Con una sola martellata, Yara spacca la faccia di Cristo. Gli frantuma le gambe e gli fracassa il costato.
Benedixisti, Domine, terram tuam…
Yara fa a pezzi i monumenti. Il cappotto nero imbrattato di neve e frammenti di pietra, il volto che sanguina. Penitenti, Dolenti e Moribondi vengono squartati in mille pezzi. Ali piumate e sguardi pieni di caritatevole supponenza giacciono maciullati nella neve candida.
Avertisti captivitaterm Iacob.
Yara grida fra le macerie, grida fra le teste mozzate dei santi e i mozziconi dei crocifissi. Grida fino a farsi male alla gola.
Lascia cadere il martello fra i crisantemi e si asciuga il naso con la manica. Estrae un indelebile rosso dalla tasca e, su ogni frammento di pietra, su ogni scheggia di marmo, su ogni colonna sfondata, inizia a scrivere.

Si spalancano i cancelli di un orrendo Eden. Sui fiori di giglio zampilla sangue mestruale.

Fra i rami degli alberi, insieme alle pesche noci, penzolano cadaveri come frutti maturi.

Ogni filo d’erba freme sotto le urla dei serafini, mentre fra le ninfee galleggiano volti di madreperla.

I serpenti avvolgono le loro spire attorno ad un crocifisso bianco. C’è profumo di euforbia e peccato. Una brezza fresca fa svolazzare le pagine stropicciate dei vangeli insieme ai petali dei crisantemi.

Re Erode posa un’ostia candida sulla lingua rossa di Giuda. Chiazze indelebili di vino scuro macchiano le sottovesti merlettate delle suore.

Una Maria Maddalena in giarrettiera balla mormorando davanti ad un Mosè che di fronte ad una vergine non si è mai tirato indietro.

La luce divina non illumina più nulla.

Noè fa a pezzi un agnello e fra le rose pallide giace il corpo sopito di Hitler.

Una bellissima primavera di perversione.

Ve li ricordate i 10 comandamenti? Nemmeno io.

Si alza il riso cristallino dei sodomiti.

Non pronunciare il nome del tuo dio invano.

Il marchese de Sade bestemmia fra cherubini gonfi d’oppio.

Onora il padre e la madre.

Isacco ingoia le sue lacrime mentre le sue mani tingono il ruscello di rosso.

Non uccidere.

La rugiada imperla le labbra di migliaia di morti.

Non commettere adulterio.

I petali dei narcisi e delle camelie si appiccicano alle cosce sudate di Beatrice, dischiuse davanti a Caino.

Non rubare, non desiderare la donna o la casa del tuo prossimo, non pronunziare falsa testimonianza.

Gesù rosso di vergogna vorrebbe seppellirsi sotto la terra morbida.

A santa Lucia non servono gli occhi per fare quello che sta facendo.

Nell’aria scura sbattono le ali di splendide gargolle e il suono delle preghiere è soverchiato dai latrati di bestie incantevoli.

Il papa si ingozza di ciliegie vestito da puttana. i suoi vescovi lo guardano, mentre si solleticano i vecchi corpi nudi con lunghe piume di pavone.

Si aspetta insieme la venuta di un Cristo frigido.

Una natura malata inghiotte tutto e fiorisce rigogliosa senza aver bisogno di impollinazione.

Sotto i cespi di lamponi è disseminata la cacca dei santi.

E lì, in alto, lassù sull’altare bianco ci sono io. Mi vedete?

Guardatemi bene, dunque, mentre stupro il vostro dio.

 

Yara lascia cadere il pennarello nella neve. Le nocche delle sue mani sono bluastre e lei non si sente più le dita. In bocca sente il sapore rugginoso del sangue che le ha macchiato il colletto del cappotto. Prende un profondo respiro. Un respiro che sa di vento abrasivo come carta vetrata e del retrogusto dolciastro del furore appagato. Si siede nel grembo sbeccato di un cherubino e alza gli occhi arrossati verso quel pugno scuro che è il cielo.
Quando la gente esce dalla chiesa e si porta la mano alla bocca, di lei resta solo la rabbia.

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