Il pozzo

Si affacciò a guardare in quel budello scuro. Si sporse ancora un poco e poi la vide.
La morte non aveva cancellato lo sguardo di terrore. Una ferita frastagliata si apriva sulla gota rosea; era come se vi avessero deposto un fiore vermiglio.
In paese si diceva che in fondo al pozzo ci viveva qualcosa. Chi cadeva nel buco profondo si perdeva nell’oscurità, come fosse un’enorme bocca pronta a ingoiare.
Così Mattia l’aveva afferrata, e dopo averla fatta cozzare con violenza contro il grande melo radicato sulla sommità della collina, l’aveva trascinata fino al circolo di pietre sconnesse.
Fili d’erba lucenti le erano rimasti impigliati ai capelli sottili. Le radici degli alberi cercavano di trattenere il corpo minuto, aggrappandosi ai vestiti.
Poi, l’aveva fatta precipitare nel vuoto. Nelle orecchie gli risuonava ancora lo scrocchio asciutto di ossa rotte.
Non è vero che in fondo al pozzo c’è qualcosa, si disse Mattia, rammaricandosi.
Elsa era ancora lì, e nessuno l’aveva ingoiata o digerita. E con lei, sul fondo della cavità, riluceva un piccolo oggetto metallico.
Stretta tra le dita contratte aveva una catenina. La medaglietta appesa all’estremità si era adagiata sul petto acerbo che emergeva immobile, a filo d’acqua.
Se solo il pozzo non fosse stato così profondo Mattia vi avrebbe potuto leggere il suo nome inciso sopra. Era il ricordino della sua prima comunione.
Vedere il ciondolo gli provocò un tuffo al cuore. Il bambino ripensò alla gioia provata nel sentire, per la prima volta, sciogliersi in bocca la carne di Cristo.
In realtà era qualcosa di più della gioia. Era una sensazione di calore che gli partiva dallo stomaco e scendeva giù; si fermava lì, e batteva proprio dove don Silvio non voleva che si toccasse. Un piacere umido e proibito.
Per un istante Mattia, aveva sentito realmente sul palato il sapore dolciastro e sapido del ferro sgorgare da quel frammento benedetto. E poi lo aveva inghiottito, bramoso di saziarsi; il bolo rugginoso, e pastoso di saliva, era sceso giù lungo la gola ed era rimasto a soggiacere silenzioso nel fondo del suo stomaco.
Per giorni lo aveva sentito nelle viscere; un corpo vivo e pulsante, un feto che si ricreava in un grembo artificiale.
Proprio come Elsa, che era ancora lì e in mano stringeva il suo prezioso ricordino.
Mattia ripensò alla passeggiata lungo il crinale per raggiungere l’ombra scura sotto la fronda del melo, ristoro dalla calura di inizio estate. La candida mano di Elsa stretta nella sua.
Non era riuscito a resistere, doveva sapere quale fosse il suo sapore, e così l’aveva assaggiata. Un grosso morso sulla guancia soda, coperta da piccole lentiggini ambrate che forse avrebbero mutato di un poco il gusto delicato della sua carne.
Doveva scendere nel pozzo. Recuperare il suo tesoro.
Dall’oscurità emergeva un lembo di corda fissato al suolo da un pesante anello arrugginito. Mattia la soppesò, tirandola verso l’alto; all’estremità una secchia di legno cozzò contro la parete, producendo tonfi ritmati che si propagarono nel vuoto.
Si appese alla corda, sotto di lui il mastello dondolava colpendo la parete. All’interno del pozzo le pietre sconnesse furono un appiglio per i piedi, poi all’improvviso scivolò, perse la presa e si ritrovò a scalciare nel vuoto.
Sentì un formicolio alla base del collo mentre un gemito sofferto gli sgorgava dalla gola secca.
A un tratto qualcosa gli afferrò i polpacci contratti. Un calore improvviso lo avvolse e gli inzuppò l’estremità dei pantaloni.
Un morso. Un morso profondo. Le sue grida di dolore si rincorsero lungo tutto il cunicolo, sembravano amplificarsi, alimentarsi di terrore a ogni eco.
Le mani iniziarono a bruciare per lo sfregare della canapa sfilacciata mentre prendeva velocità, poi, tutto fu avvolto da una vertigine scura che lo attirò in profondità.
L’aria all’interno era così umida e stantia, pompata a forza da bronchi asfittici. Faceva caldo, un respiro bollente saturava l’aria.
Era veramente una bocca affamata, un intestino pronto a digerire.

I vecchi giù in paese hanno ragione. Nel pozzo c’è qualcosa ma, come dice don Silvio, solo i bimbi cattivi vengono mangiati.

Odd Nerdrum, “Cannibals” (dettaglio)

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