Mindlag [Episodio 8]

Mindlag [Episodio 8]

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“Davvero non se ne era accorto?” Haß lo fissò, si era fatto serio: “Proprio nella postazione accanto alla sua, sto parlando di C439.”

A Bog parve quasi di squagliarsi sul sedile: “Cho?” chiese, una vampa di calore gli stava attraversando il viso, avvertiva ogni singolo stillare delle gocce minuscole sulla sua fronte.

Un’altra risata dell’Alfa introdusse una tirata autocelebrativa: “Io ho visto i segnali, lui rendeva meno di prima. Solo un tantino, ma quanto bastava per non sfuggirmi!”

“Ah, non immaginavo…” commentò distrattamente il Beta, ansioso di cambiare discorso. La pioggia si stava intensificando, batteva così forte sul parabrezza da far scattare in automatico il campo di forza, l’unico lusso della sua Triruote prima che lo azionasse Bog.

Haß annuì tanto soddisfatto da far svolazzare la matassa grigia di capelli: “Ho analizzato i dettagli, ogni singolo segnale… e ho fatto un’indagine approfondita.”

Le gocce di pioggia si polverizzavano divenendo una sorta di nebbia fumante, quasi dentro l’abitacolo della Triruote stesse bruciando qualcosa. Oltre la processione lenta di fari e luci fluo sulla strada, oltre l’operoso su e giù dei lavoratroni che sgretolavano il vecchio e irroravano plastocemento per creare il nuovo, in cielo apparve il grande calamaro di luce verde.

“Non me lo chiede come lo abbiamo inchiodato quel pervertito?” Haß domandò con una punta di risentimento, ma Bog era troppo intento a fissare quel titanico ologramma sparato fra le nubi nere, due coni uniti per la base e fluidi tentacoli a tubo. Il simbolo del Me-nimal sembrava allungarsi sugli edifici e sul reticolo di strade.

Haß grugnì di delusione e continuò: “Abbiamo scoperto delle strane transazioni… sottraeva fondi alla compagnia per pagarsi uno di quei corpi virtuali del Pervernet! Domani C439 avrà una brutta sorpresa quando lo convocherò su dai vertici!”

Il mostro tentacolato era proiettato dalla cima del Me-nimal Plaza, una pinna dorata lontana, troppo lontana. Il signore degli abissi celesti roteò in una danza lenta, come se fosse sott’acqua, come se tutta la città fosse sua: “Me-nimal ti abbraccia” la scritta scorse sulla metà di quella testa conica, si arrestò quando le due “B” divennero rosse, due occhi indagatori e severi. Bog ebbe la sensazione che lo scrussero e si piantò i denti nel labbro inferiore, nel tentativo di arrestarne il tremito. Le cifre olografiche dell’orologio scattarono, testimoniando l’accumularsi inesorabile del ritardo. Due ore allo scadere dello Skinavatar, che si sarebbe dissolto mentre lui era in ancora auto, di questo passo.

Una diramazione della corsia Deluxe era apparsa al lato dell’ingorgo, libera e inarrivabile come tutto ciò che è Premium. Il Beta intravide due Tornado ultimo modello rincorrersi su quel rettilineo chiuso da una galleria trasparente, agili e maledettamente veloci.

Come preso da uno scatto d’ira, il Beta sterzò violentemente per sfuggire via dal tempo di cui avvertiva il fiato sul collo e allo stesso tempo liberarsi dal fiato putrefatto di Haß. Finse di voler imboccare una delle entrate della corsia Deluxe e, all’ultimo momento, invece di passare per l’apertura esagonale, Bog fece zigzagare la Triruote, evitando così di essere sorpassato da una Tornado e, allo stesso tempo, lasciando che fosse rallentata da un pachiderma a sei ruote. Superò il bestione per guadagnare posizioni, la scritta giallo fluo sul metallo della cisterna gli diede l’inutile informazione che quel grosso cargo riforniva di plastocemento i lavoratroni nei cantieri.

“Una mossa audace… ” commentò Haß: “Tuttavia mi consenta di dirle che non è cosa adatta ai Beta lanciarsi in certe imprese.”

Non c’era tempo di trovare una risposta adeguata a fugare sospetti su un atteggiamento così poco Me-nimal: Bog sentiva su di sé gli occhi del capo, come quelli a forma di B del calamaro volante, ma a questo punto tutto ciò che desiderava era raggiungere il suo mono per vedere la sua signora e padrona. Il mondo attorno a lui, così come la sua vita mediocre, sarebbe sprofondato, si sarebbe deteriorato. Eppure rispetto al suo corpo virtuale sulla via del disfacimento era divenuto tutto sacrificabile.

In un attimo erano stati rotti gli argini e il suo istinto di conservazione era stato annichilito.

“Lei non me la dice giusta.” disse Haß emettendo un sospiro velenoso e questo fece rientrare Bog nei ranghi, tanto che si pentì del sorpasso azzardato, tuttavia non rallentò.

“Che intende?” domandò il Beta, con un tono di voce che voleva apparire sicuro, ma che non riusciva a celare la rassegnazione.

Haß emise un grugnito come prologo a una risatina sommessa: “Mi sembra nervoso. Ha forse un impegno?”

Bog scosse il capo, con forza, troppa, tanto che il dolore dietro la nuca si riacutizzò. Si dovette mordere il labbro inferiore per conservare un’espressione neutra, per quanto poteva esserla con lo sguardo accigliato e fisso sulla strada. Dal rumore insistente prodotto dal tamburellare di quelle dita sulla borsa, si rese conto che Haß attendeva una risposta, e non si sarebbe accontentato del semplice silenzio, così sospirò: “Niente… niente di importante, signore.”

“Invece la mia cena è importante” l’Alfa si strinse nelle spalle, una mimica in netto contrasto con il peso delle sue parole, a metà fra una protesta e una semplice considerazione. Bog si lasciò sfuggire un sospiro questa volta più simile a uno sbuffo, di cui si pentì un attimo dopo, quasi più del sorpasso azzardato.

“Sa, il traffico, lo vede anche lei, io non… ” provò a porre rimedio, ma l’altro non gli consentì di continuare: “Intendo dire che mi aspetteranno.” Haß scandì bene le parole: “Perché io sono il re della giungla.”

“Come no?” pensò Bog: “Di sicuro la tua scimmietta ammaestrata è una troia in una delle stanze del Plaza. Una disposta a farsi fare qualsiasi cosa in cambio di soldi.”

La prostituta dell’hotel la immaginava volgare, con i capelli laccati e in perfetto ordine pronti a essere scompigliati, violati da quegli artigli. Di sicuro lei indossava un abito tanto semplice quanto prosaicamente sexy, uno di quelli con cerniere sul seno e all’altezza del pube. Magari era già nuda sul futon, in una posa pratica a gambe divaricate e braccia incrociate sul ventre per evitare gli inutili preliminari tanto avversi alla moda Me-nimal: certamente era pure esperta nel mantenere un volto inespressivo e occhi fissi al soffitto. Haß era un predatore volgare, non come Domina Strix, che aveva fatto della sua superiorità un’arte, perché lui comandava incutendo terrore, mentre lei era il terrore.

Le auto ebbero un sussulto e rallentarono di colpo, quasi fossero state arrestate da un muro invisibile. Un lampo azzurro squarciò l’oscurità e sulla corsia Deluxe, ora vuota quanto intoccabile: sotto ad esso sfrecciò un cuneo bianco e rosso: era una hover-ambulanza che uscì fuori dalla serpe trasparente della Deluxe. Il veicolo si fermò rimanendo a galleggiare sul suo cuscino d’aria, in attesa che le vetture, incastrate come tessere di un puzzle, si facessero da parte per lasciarla inoltrare nell’ingorgo della corsia regolare.

“No…” Bog si accorse di aver fiatato solo quando avvertì la secchezza delle labbra dimenticate aperte, così le serrò immediatamente, per celare il tremolio della mascella. Sbatté le palpebre e trasse un profondo respiro, facendo ancora i conti con il retaggio Humorpop sull’evitare il pianto a qualsiasi costo.

“Un incidente, a quanto pare.” Haß, commentò l’ovvietà dell’avvenimento, poi espirò dalle narici in modo rumoroso. Bog invece rimase impietrito, il calamaro verde lo sovrastava, gli occhi adesso erano le due “C” di “Abbraccia”: parevano canzonatori, pregni del disprezzo di quando si osserva qualcosa di insignificante. Le sopraelevate a monorotaia si libravano verso la coltre di nubi rese verdastre dal mostro tentacolato. Sopra di esse i vermi grigi dei treni pendolari scorrevano a passo d’uomo, poi venivano inglobati nelle cavità di quelli Deluxe per i passeggeri Premium. I filanti serpenti color argento parevano ingoiare i vermi opachi ed espellerli nell’istante in cui se li lasciavano dietro. Ogni cosa era una catena alimentare che si giocava sul rapporto tra il denaro e la velocità. Ogni cosa era Premium o Base, senza sfumature.

La Triruote di Bog avanzò fin quasi a toccare il paraurti ammaccato di una Monson beige, la quale sputacchiò una fumata bluastra, ma rimase immobile a tremolare, inerme sotto la pioggia battente, perché era anticaglia sprovvista di campo di forza.

Le cifre dell’orologio sul cruscotto si replicarono in miniatura nei numeri olografici di quello da polso dell’Alfa, quando si tirò su la manica della giacca. Anche lui, nonostante la retorica del re della giungla, lasciava trapelare segni di impazienza. Quei numeri traballanti nella penombra dell’abitacolo emettevano una sentenza su un ritardo mostruoso, irrimediabile.

Il cerchio attorno a Bog si stava stringendo: dopo Cho sarebbe toccato a lui, forse Haß li avrebbe convocati insieme, forse glielo avrebbe annunciato al termine del passaggio e in ogni caso, pure con gli straordinari, dopo il dissolvimento del suo corpo da falena, avrebbe potuto prendere uno Skinavatar di quelli dozzinali, gommosi, dei pervertiti ormai al capolinea. Si sarebbe ritrovato in quella fogna umida fra i bassi istinti degli utenti bruciati, solo July “Anal” Großebecken lo avrebbe insidiato, mentre Domina Strix lo avrebbe osservato fluttuando nell’aria, ridendo della sua mediocrità.

L’apertura esagonale della corsia Premium era contornata di enormi neon tubolari. Ne percepì lo sfarfallio, quasi impercettibile e ne trasse ristoro, tanto che non chiuse le palpebre neanche quando i forfeni presero a ballargli di fronte. Quella luce, un riverbero algido e tremolante, lo attrasse come se lui fosse una vera falena.

Afferrata la cloche, Bog aggirò la Monsoon di fronte e lanciò la Triruote attraverso quel portale luminoso.

“Addebito! Addebito!” la scritta apparve sul piccolo schermo al centro della cloche, per avvertirlo che varcare quella soglia gli era appena costata una piccola fortuna.

Illustrazione di Giorgio Borroni.

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